L’INTERVISTA
«Basta dittatura della comodità»
Marco Paolini per due giorni al teatro Openjobmetis: «Le tecnologie si sostituiscono alle relazioni tra persone»
Di viaggi ne ha compiuti parecchi, seguendo le tracce di Marco Polo, analizzando le scoperte di Galileo Galilei, cercando la verità dietro la tragedia del Vajont. Unico l’intento: capire, scavare, andare oltre. Ora Marco Paolini rivolge lo sguardo al futuro. Fra mille incognite, visto che al centro dell’attenzione c’è l’evoluzione delle tecnologie.
Dopo avere pubblicato “Le avventure di Numero Primo”, scritte a quattro mani con Gianfranco Bettin, le porta a teatro. All’Openjobmetis di Varese.
Finora ha guardato al passato, ora appare incuriosito dal futuro. Il destino digitale è così incerto?
«Io e Bettin mettiamo in forma di fiaba e storia di avventura temi che ci appassionano. Non è una parabola per dimostrare qualcosa, nascono domande sul divenire della tecnologia e le direzioni del percorso scientifico. Ci sono due modi di mettersi a parlare, uno è diffondere direttamente questi ragionamenti, l’altro è utilizzarli per costruire un racconto ascoltando il quale ognuno si faccia domande. Io provo tutte e due le strade».
Le novità si rincorrono velocemente. La cultura è in ritardo sulla tecnologia?
«Quando abbiamo un giocattolo nuovo, prima cominciamo a giocare da soli, poi in due. Se siamo in dieci invochiamo le regole. Questo è il percorso della tecnologia, normalmente si afferma prima perché è veloce, la regola è culturale, arriva dopo, fa sì che tutti riconoscano il gioco. Nel calcio puoi inserire novità nel fuorigioco o la moviola in campo, ma tutti sanno come si gioca. Tutti sanno come si usano telefoni e internet, poi si mettono a discutere, c’è un travolgente vantaggio dell’uso sulla normativa, c’è la consuetudine. Si afferma in maniera talmente forte che è difficile cambiare, porre limiti. In generale la cultura interviene dopo che le cose si sono formate e non durante il processo. Le tecnologie le capiamo, però ci sono dei limiti: con una persona posso parlare guardandola negli occhi, se solo mi costa 5 minuti di strada non lo faccio; non mi riunisco con 4 o 6 persone se è più comoda una chat. Esiste una dittatura della convenienza che si chiama globalizzazione, è quella che impone la fine delle manifatture nel mondo occidentale. E c’è una dittatura della comodità che uccide una serie di altre cose, come le persone rese sostituibili da relazioni tecnologiche».
Al Festival della comunicazione di Camogli ha parlato di “oggetti sapiens”: se tutto sarà controllato dalle macchine, dove finirà l’uomo?
«Queste risposte le lascio ai filosofi. Non temo l’apocalisse rapida, credo che quella lenta che viviamo sia già drammatica di per sé, non mi interessa immaginare dove andrà a finire, semplicemente metto a fuoco».
Numero Primo e il “padre” Ettore hanno delle prove da superare: chi non si pone delle domande di fronte a quanto ci accade rischia di restare schiacciato?
«Numero Primo è una storia filata di due ore. Per il narratore un nemico è importante per raccontare una storia, l’immanenza dell’avversario è fondamentale ma non è detto che il nemico sia quello contro cui puntare il dito. La tecnologia è buona o cattiva secondo le mani che la usano, era così con la magia in passato: c’è un mago buono o un mago cattivo. Non c’è un conflitto uomo-macchina o uomo-tecnologia, esiste la possibilità che il bene e il male siano compresenti, che sia difficile eliminare uno dall’altro. La vigilanza sta nel riconoscere che in ciò che facciamo, c’è il rischio che al buono sia associato qualcosa di cattivo. È lì il peso della cultura, è lì che se la gioca».
Numero Primo avvia una trilogia?
«Lo pensavo all’inizio, ora credo in un percorso mosso, con lavori diversi, il finale del libro è aperto, quello dello spettacolo anche. Tutto va aggiornato, non per quello che si scoprirà ma perché c’è una possibilità di intuire come usare il teatro e questi linguaggi, dipende dagli interlocutori che si raccolgono, in un dialogo aperto con persone che sanno di tecnologia e scienza e con gli spettatori».
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