DOLORE INCANCELLABILE
Un papà distrutto
È il padre di Matilda l’uomo che ha aggredito i vigili venerdì: «Mia figlia non ha giustizia»

È stata una scena plateale quella di cui si è reso protagonista il cinquantenne che venerdì pomeriggio, 29 gennaio, ha aggredito vigili urbani e polizia.
Nella concitazione dell’intervento, una donna è stata spintonata involontariamente da un operante e si è spaventata: «Gli sono saltati addosso in cinque, l’hanno atterrato e immobilizzato perché lui era agitato, urlava, si dimenava. Continuava a gridare “avete tutti ucciso mia figlia”», racconta la bustese ancora un po’ turbata.
Quella figlia evocata dal cinquantenne è Matilda Borin, la piccina uccisa con un calcio violentissimo il 2 luglio del 2005 a Roasio.
«Lo Stato non mi ha dato giustizia, per la mia bambina nessuno pagherà», straparlava il papà, un uomo che non ha mai trovato pace da quel giorno. Perché l’omicidio di Matilda è inspiegabilmente irrisolto. Fra pochi giorni, il 5 febbraio, la Cassazione si pronuncerà sulla posizione dell’unico imputato, Antonio Cangialosi, l’ex body guard che all’epoca frequentava la mamma, Elena Romani. Finora è sempre stato assolto dall’accusa di omicidio preterintenzionale e venerdì prossimo difficilmente la suprema corte ordinerà nuovi procedimenti. Nella villetta in provincia di Vercelli quel sabato pomeriggio c’erano però solo Elena Romani, Cangialosi e Matilda. La donna - difesa dagli avvocati Tiberio Massironi e Roberto Scheda - venne immediatamente messa sotto accusa, rinchiusa in carcere e processata dalla corte d’assise. Ed è sempre stata dichiarata innocente, con formula piena e quindi al di là di ogni ragionevole dubbio. Resta quindi l’ex compagno, ma la legge richiede prove e riscontri concreti per arrivare a una condanna. E quando gli inquirenti riaprirono le indagini concentrandosi su Cangialosi ormai era trascorso troppo tempo per riuscire a trovarne. Quindi nessun grado di giudizio si è mai espresso con un verdetto di colpevolezza.
Al papà di Matilda, un soggetto da sempre difficile e incline alle dipendenze (Elena lo lasciò anche per questo), quella tragedia dette il colpo di grazia. Le forze dell’ordine conoscono le sue fragilità psicologiche e l’assurda vicenda giudiziaria che riguarda la sua bimba morta a ventidue mesi, e più di una volta hanno dovuto ricondurre il cinquantenne alla ragionevolezza. Nel 2008 trascorse una notte in carcere per resistenza a pubblico ufficiale: in piena notte scese in strada a danneggiare le auto in sosta in preda a un delirio. Arrivò la squadra volante e il bustese - figlio di imprenditori del settore funerario - montò sul furgone delle onoranze funebri e ingaggiò un inseguimento terminato a Legnano contro un muro. Nemmeno i colpi di pistola esplosi in aria per bloccare la corsa lo fermarono. E i fantasmi della sua mente lo tallonano ancora. Venerdì forse si parlerà di Matilda per l’ultima volta.
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La bimba morì
a ventidue mesi durante un weekend
con la mamma
e il suo nuovo compagno
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