ZUST
Donna divina creatura tra arte e moda
Una donna quasi irreale, circonfusa di sete e gioielli, costretta in abiti lussureggianti da mutare nei diversi momenti della giornata, protagonista dei salotti alla moda come delle alcove, angelo e demone, regina della casa e peccatrice. La «Divina creatura» che la Pinacoteca Züst di Rancate presenta con larghezza di mezzi e dovizia di particolari, ci arriva da lontano con echi del «Piacere» dannunziano e del romanzo di Luciano Zuccoli, scrittore alla moda tra Belle époque e «roaring twenties», intitolato «La divina fanciulla», con la protagonista Manoela Roderighi che incarna a perfezione il ruolo di femme fatale impellicciata e profumata.
Una mostra che attraverso la visione di sessanta tra dipinti e sculture tratteggia la figura della donna del secondo Ottocento e il suo sempre più coinvolgente rapporto con la moda, da quando, nel 1857 un sarto inglese, Charles Frederick Worth, creò l’«haute couture», abiti su misura di gran lusso da vestire per ogni occasione. Donne fasciate in abiti che mortificavano le forme del corpo, costretto in torturanti bustini stretti da lacci implacabili, con le serventi di casa chiamate alla vestizione della signora o della «grande orizzontale», la «escort» d’alto bordo del tempo, più volte al giorno.
Ma anche una bellezza sfarzosa, che i curatori Sergio Rebora, Mariangela Agliati Ruggia e Marialuisa Rizzini hanno messo in evidenza attraverso la scelta di capolavori di grandi pittori, da Boldini, Corcos, Luigi Rossi, Mosè Bianchi, Giacomo Grosso, Tranquillo Cremona, solo per citarne alcuni, accanto a ventagli dipinti da maestri quali De Nittis, Segantini o Previati, e a quindici magnifici abiti d’epoca forniti da privati e dal museo di Palazzo Morando a Milano, e firmati da sartorie di prestigio, da Worth a Marianna Cantelli, alla milanese Magugliani.
Al centro dello splendore la contessa Carolina Maraini-Sommaruga, ticinese di nascita come il marito Emilio Maraini, ricchissimo imprenditore della barbabietola da zucchero con lo stabilimento impiantato a Rieti e la villa faraonica in via Ludovisi a Roma. Ritratta da Vittorio Corcos con un sontuoso abito rosa con guarnizioni nere e stola di pelliccia, la contessa per meriti filantropici - aprì asili e scuole di ricamo per le operaie del marito - appare sfolgorante di bellezza come una divinità.
Con l’avanzata della ricca borghesia imprenditoriale, infatti, diventò di moda il ritratto con l’abito preferito, assai spesso confezionato allo scopo, realizzato dai cosiddetti «pittori couturier», specializzati in grandi tele celebrative della «grande dame» del momento, della stessa regina Margherita o per esempio di Elena di Savoia-Aosta d’Orléans, immortalata dal pennello di Giacomo Grosso.
La mostra è un invito a sognare e a ripercorrere un’epoca irripetibile, caratterizzata da uno sfarzo e una raffinatezza oggi inimmaginabili, ma anche ad apprezzare la maestria dei pittori del tempo, capaci di ogni virtuosismo tecnico per rendere al meglio la preziosità delle stoffe, il taglio degli abiti e i colori da abbinare all’incarnato della dama, spesso scollata e con le braccia nude. Una piccola «industria della bellezza» che incrementava quella sartoriale, sempre con un occhio rivolto alle novità di Parigi.
«Divina creatura. La donna e la moda nelle arti del secondo Ottocento» - Pinacoteca Züst di Rancate (Svizzera), fino al 28 gennaio 2018 da martedì a venerdì ore 9-12 e 14-18, sabato, domenica e festivi 10-12 e 14-18, 10 euro, info 004191.8164791.
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