BUONI RAPPORTI
Felicemente al lavoro. E i risultati migliorano
Tra azienda e dipendente c’è di mezzo il benessere
Sembra proprio vero, qualcosa all’interno delle aziende sta cambiando. Complice anche la drammatica pandemia, datori di lavoro e lavoratori sono stati obbligati in quel periodo a ridisegnare le dinamiche interne. Ecco allora che termini come smart working e telelavoro sono diventati sempre più popolari. E diverse imprese – laddove ovviamente possibile – da scelte emergenziali le hanno trasformate in strutturali. Sempre più imprenditori hanno capito che investire nel benessere dei dipendenti crea un valore aggiunto all’organizzazione aziendale. Da una parte sono infatti i lavoratori, in particolare i giovani, a chiedere alle aziende condizioni di lavoro che contemplino programmi di benessere, per meglio conciliare, ad esempio, i tempi “vita privata - lavoro” e quindi non rilegano più la loro prestazione ad un mero impegno legato ad una retribuzione. Dall’altra, anche i datori di lavoro, stanno – non ancora tutti, però – investendo sempre più in misure di benessere aziendale, espressione meglio conosciuta come “Corporate wellbeing”, con una serie di impegni che traguardano ad alzare l’asticella dell’interesse verso i bisogni di dipendenti e collaboratori, con misure di welfare che – agevolando le maestranze - vanno nei fatti a ridurre le situazioni legate al malessere in azienda, che porta ad una minore produzione e che può sfociare talvolta anche nell’assenteismo.
IL SINDACATO
Un ruolo fondamentale in questo nuovo modus operandi che sta investendo il mondo del lavoro lo esercita indubbiamente anche il sindacato, da sempre impegnato nella contrattazione e nella difesa dei lavoratori. La strada è stata tracciata, ma di passi in avanti ce ne sono ancora da fare tanti, come conferma Daniele Magon, segretario generale della Cisl dei Laghi.
«Ritengo che Varese e la sua provincia siano un sistema complesso: abbiamo degli ambiti aziendali dove veramente si fa riferimento ad un welfare che mette la persona al centro e si garantisce al lavoratore un ambiente di lavoro adeguato sano e anche la possibilità di adempiere a quelli che sono i cardini di uno sviluppo del lavoro flessibile e quindi penso anche allo smart working ma non solo», spiega il sindacalista, «come invece purtroppo abbiamo anche sistemi aziendali che sono ancora estremamente rigidi e il lavoro viene visto come un elemento da svolgere esclusivamente nei locali dell’azienda, con lo smart working che viene inteso come beneficio da regalare ad alcuni dipendenti e ad altri no».
LE CRITICITA’
Una situazione, questa, che comporta delle criticità. «Proprio così, perché il rischio è che il lavoratore che vede questa opportunità come un beneficio per poter conciliare meglio il lavoro con le sue esigenze personali e famigliari, tendenzialmente è molto attento a dare anche di più, a fare in modo che non ci sia mancanza di produttività alcuna nella propria attività». Il che, ad esempio, è declinabile nella classica pausa caffè, dove chi opera in Sw rischia di sentirsi quasi in colpa per una breve pausa a casa con la Moka mentre così ovviamente non si sente per gli stessi minuti che può trascorrere alla macchinetta del caffè in ufficio: quindi si ritrova a voler recuperare come lavoro anche questi brevi attimi di pausa che si concede tra le quattro mura domestiche. «Lo vedono come un dovere» evidenzia Magon.
IL CAMBIO DI PARADIGMA
Insomma, occorre un cambio di paradigma. «Purtroppo resta ancora molto da fare per arrivare a un adeguamento del welfare e dei sistemi di benessere a favore di tutti», conclude il segretario generale della Cisl dei Laghi: «Guardiamo ai giovani: quando i ragazzi si presentano ai colloqui di lavoro chiedono subito alle aziende che tipo di welfare e flessibilità offrono; nel mondo nuovo diciamo che la busta paga è un elemento sicuramente importante ma lo è anche la qualità della vita».
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