DELITTI INSOLUTI
«I cold case parlano»
Il criminologo varesino Franco Posa: «Verità per Cesaroni». Il consulente della famiglia di Simonetta ha condotto in città le analisi su un tagliacarte: «Non è l’arma»
L’omicidio insoluto di Simonetta Cesaroni del 1990 e un tagliacarte «che non è l’arma del delitto». Le scomparse di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori nel 1983 e la scoperta che tra maggio e giugno di quell’anno ci furono almeno una quindicina di ragazze sedicenni sparite nel nulla nella stessa area di Roma. L’individuazione del Dna del serial killer che avrebbe colpito sette volte a Milano negli anni Sessanta e Settanta, altri cold case con donne come vittime “illuminati” da un protocollo che è quello dell’autopsia psicologica. Il criminologo varesino Franco Posa, 56 anni, parla con voce calma di cose terribili: «Sono uno scienziato e non siamo in televisione: non è mio compito mettere le manette agli assassini, al massimo posso dare conforto a chi è rimasto». Il suo istituto di ricerca scientifica Neurointelligence ha sede nel centro di Varese. Una sorta di piccola torre. Ingresso dalla zona pedonale. Laboratorio al primo piano con una ricostruzione in gel del tronco di Simonetta segnato dalle coltellate su un tavolo e una mappa di Roma su una parete. Ufficio al secondo piano, con una libreria piena di testi originali che hanno fatto la storia della criminologia, compresi naturalmente quelli di Cesare Lombroso: «Sono rari, mi fa piacere che i varesini sappiano che sono qui, a disposizione di chi volesse consultarli per ragioni di studio».
Dottor Posa che cosa fa con i suoi collaboratori a Neurointelligence?
«Ci occupiamo soprattutto di cold case particolarmente datati e in cui c’è l’utilizzo di un’arma bianca. Siamo specialisti nell'attività di ricostruzione dedicata alla compatibilità tra arma bianca e ferita. Partiamo da immagini fotografiche dell’autopsia, anche di molti anni fa, realizziamo modelli estremamente fedeli delle lesioni e valutiamo, quando ci viene chiesto, la compatibilità tra la ferita e il presunto contundente. Questa però è solo una delle attività di laboratorio che svolgiamo qui, e che in parte condividiamo con alcuni istituti accademici, come l’Università di Tor Vergata, dove insegno Neuroscienze forensi. Ci sono infatti le attività legate proprio alle neuroscienze, con la valutazione del comportamento in termini di relazione tra metabolismo cerebrale, anatomia del cervello, e il perché di alcuni comportamenti criminali, con la grande sfida del libero arbitrio e della responsabilità individuale. Per questo aspetto del mio lavoro c’è grande interesse soprattutto negli Stati Uniti. E c’è poi un’altra attività particolarmente innovativa che è la geolocalizzazione di alcuni eventi criminosi. Ad esempio, a Roma abbiamo valutato la scomparsa di ragazze nello stesso arco di tempo della sparizione di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori, riuscendo a comprendere che le scomparse di quell'età in quell'area geografica erano molto più numerose rispetto ai due casi che sono ancora oggi, dal punto di vista mediatico, molto presenti. Un dato clamoroso, da studiare. Che legami c’erano tra queste quindici ragazze? Bisogna andare a prendere i fascicoli e vedere che abitudini avevano, quali relazioni avevano in comune. Ovviamente, però, ci vogliono tempo e forza lavoro dedicata».
L’intervista completa sulla Prealpina di domenica 1 dicembre, in edicola e disponibile anche in edizione digitale.
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