AL TIRINNANZI
Il piano magico di Rick Wakeman a Legnano
Lo storico tastierista degli Yes riapre il libro di una carriera cinquantennale e commuove la platea

C’erano occhi lucidi e un diffuso stato d’animo da “evento finale”, ieri sera (venerdì 28 febbraio), curiosando nella (attempata, con qualche lodevole eccezione di giovani anche under 30) platea del teatro Tirinnanzi di Legnano.
Del resto il titolo del tour scelto da Richard Christopher Wakeman, commendatore dell’Ordine dell’Impero Britannico “Per i servizi alla musica e alla radiodiffusione”, era molto esplicito: “The Final One-Man Piano Show”. Rick, storico tastierista degli Yes, icona prog e tanto altro, alla soglia dei 76 anni (li compirà a maggio) e con il possente fisico che da tempo gli lancia segnali di allerta, ha annunciato che questa sarà l’ultima volta. E così i “fedeli” sono accorsi numerosi alla chiamata del profeta del minimoog e del mellotron, stavolta però, come spesso gli è successo in oltre cinquant’anni di carriera, solo sul palco con uno Steinway and Sons a coda e un look che rievoca solo lontanamente gli eccessi kitsch degli anni settanta.
Del resto «Quando compongo lo faccio sempre al piano», ha detto un Wakeman comunicativo e in possesso del classico humour britannico («Scusatemi, il mio italiano è pessimo, conosco solo poche parole come funghi e spaghetti; neppure il mio inglese è molto migliore»).
E allora via, novanta minuti di cavalcata tra le gemme della carriera solista, gli estratti dai fortunatissimi “The Six Wives of Henry VIII”, “The Myths and Legends of King Arthur and the Knights of the Round Table” e “Journey To The Centre of the Earth”. Non poteva mancare un estratto dalla discografia Yes: «Come forse alcuni di voi sapranno, ho trascorso “alcuni anni” con questa band. È stato interessante! La prima volta che siamo venuti in Italia era il 1971, all’epoca avevo quattro anni». Applausi scroscianti per The Meeting (Da Anderson, Bruford, Wakeman and Howe, 1989), And You and I (da Close to the Edge, forse il capolavoro del gruppo datato 1973) e Wonderous Stories (1977).
Spazio anche al Wakeman “session man”, il pianista che, soprattutto a inizio carriera, suonò con i grandi del pop-rock. E così, fra i brani sui quali è chiaramente avvertibile il suo tocco magico tra i tasti bianchi e neri, ecco tre capolavori come “Morning has broken” di Cat Stevens e un doppio David Bowie («Lui è la mia persona preferita in assoluto, lavorare insieme è stato un dono fantastico») di Space Oddity e Life on Mars.
Prima del saluto e dei bis, due strepitose reinterpretazioni del repertorio dei Beatles, Help, rivisitata nello stile di Camille Saint-Saëns ed Eleanore Rigby “à la Prokofiev”, veri pezzi di bravura di un musicista che ha sempre oscillato tra il rock, la classica e il pop con una tecnica incredibile e una personalità da vero mattatore. Poi è stato il momento dei bis e del saluto definitivo, con gli occhi sempre più lucidi di chi, accanto alla delusione del sipario che si chiude, porterà a lungo con sé l’eco di una serata che ha regalato un pizzico di magia.
Sperando che l’addio ai palchi venga smentito da una delle nuove imprese musicali alle quali Rick ci ha abituato.
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