LIETO FINE
Prigioniera nella grotta: «Così l’abbiamo salvata»
Il soccorritore gaviratese Gregorio Mondini racconta il salvataggio della speleologa rimasta ferita nel Bergamasco
Quasi novanta ore di intervento, oltre centocinquanta speleologi impegnati, quattro chilometri di cavo telefonico posato per garantire le comunicazioni, circa 200 metri di grotta allargati con microcariche esplosive per consentire il passaggio della barella. Sono i freddi numeri che si celano dietro qualcosa che di freddo ha ben poco: la maxi operazione di salvataggio di Ottavia Piana, la speleologa rimasta ferita nella grotta “Abisso Bueno Fonteno”, in provincia di Bergamo. Nella cabina di regia di questa complessa attività c’era Gregorio Mondini di Gavirate, vice delegato della IX Delegazione speleologica del Cnsas Lombardo, che ha gestito le operazioni insieme al delegato regionale Corrado Camerini, a cui poi si sono affiancati altri esperti arrivati da varie Delegazioni d’Italia.
«Nessuna imprudenza»
La 32enne di Adro, in provincia di Brescia, era stata già soccorsa in questa stessa grotta, ma in un altro tratto, nel luglio del 2023, e questo aspetto ha subito innescato polemiche e critiche da parte dei soliti leoni da tastiera: «Non c’è stata alcuna imperizia da parte sua né tantomeno sottovalutazione della situazione – chiarisce subito Mondini -. È stata solo sfortuna. Ottavia è impegnata in un progetto di esplorazione e mappatura di questa grotta e, purtroppo, un incidente come questo può capitare. Ma lei non ha alcuna colpa di ciò che è successo. È stata sempre lucida e attenta: anzi, conoscendo benissimo quella grotta, durante le operazioni di recupero riusciva a dare indicazioni preziose sulla posizione esatta. Un aspetto tutt’altro che secondario, perché consentiva di fornire informazioni precise al coordinamento esterno nella gestione di ingresso e uscita delle squadre». Sanitari e tecnici del Soccorso speleologico del Cnsas (acronimo di Corpo nazionale Soccorso alpino e speleologico) sono stati in prima linea fin da subito, da quando è arrivata la richiesta di aiuto sabato sera, con turni da venti ore ciascuno, ma la prima squadra ha lavorato ininterrottamente per 36 ore. «Le prime fasi sono le più importanti – prosegue lo speleologo di Gavirate -. Bisogna capire le condizioni del ferito, valutare se è trasportabile, organizzare squadre e attività, posare il cavo telefonico per i collegamenti con l’esterno. In questo caso, a rendere più complesso tutto, c’era il fatto che si tratta di una grotta ancora in parte inesplorata e, dunque, di cui non avevamo ancora rilievi». Là dentro le delicate operazioni nell’oscurità, all’esterno tanta attesa e una grande attenzione mediatica.
Squadre da tutta Italia
In tutto hanno lavorato sette squadre del Soccorso alpino e speleologico ma altre erano già pronte a dare il cambio, dal momento che la stima iniziale delle attività era di un giorno in più: a Fonteno sono arrivati sanitari e tecnici da tutto il Nord Italia, ma anche da altre regioni, come ad esempio Lazio, Sardegna, Umbria, Marche e Campania. Senza contare l’impegno di carabinieri, protezione civile, vigili del fuoco, e pure di semplici cittadini e di commercianti della zona che hanno dato il proprio contributo, anche solo in termini di vicinanza: «I ringraziamenti da fare sono tanti – conclude Gregorio Mondini – a partire dal Comune di Fonteno e dalla Protezione civile, per arrivare ai negozianti del paese che ci hanno aiutato come potevano».
Del resto, come ha detto Alessandro Bigoni, assessore alla Protezione civile del Comune di Fonteno, «non si lascia indietro nessuno e lo abbiamo dimostrato». E questa volta, grazie all’impegno e al coraggio di tante persone, la legge della montagna è stata applicata anche nell’Abisso.
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