LA RECENSIONE
“La forza del destino” vista in Tv e a teatro
L’opera che ha aperto la stagione del Teatro alla Scala è stata proiettata anche a teatro. Vi raccontiamo le due “versioni”
L’opera lirica, genere ibrido per eccellenza, sembra resistere allo scorrere del tempo, attraversando con la sua estetica barocca dell’irreale un secolo votato al realismo come l’Ottocento romantico italiano e mantenendo quasi intatta la sua carica seduttiva fino ai nostri disincantati giorni. Al pubblico l’opera, proprio per questa natura ibrida e imperfetta, può dare immagini di sé molto diverse, anche in relazione alle modalità di fruizione; dal vivo la lirica è altra cosa che su uno schermo e riprova ne è stata “La forza del destino“ verdiana con cui si è aperta la stagione del Teatro alla Scala, che abbiamo seguito in diretta televisiva il 7 dicembre e dopo pochi giorni in teatro.
SUL PICCOLO SCHERMO
L’impianto generale dello spettacolo era evidente anche attraverso il filtro della TV e si coglievano bene i meriti (molti) e i limiti (pochi) di Riccardo Chailly sul podio e del cast vocale, in cui ha primeggiato il soprano Anna Netrebko, come riferito nella recensione pubblicata sulla Prealpina dell’8 dicembre. Puntando sui primi piani la regia televisiva ha reso più evidente la gestualità dei personaggi e gli snodi psicologici della trama, con la contropartita di attenuare l’impatto visivo della regia di Leo Muscato, con la sua compattezza pittorica e coralità da romanzo storico (in effetti “La forza del destino” può essere definita il romanzo storico di Verdi).
A TEATRO
In teatro la grande piattaforma rotante ideata da Muscato ha rivelato, molto più che sullo schermo, una mostruosa e impersonale macchina del tempo che tutto travolge senza lasciare ai protagonisti alcuna possibilità di salvezza, se non, ma solo per i superstiti, una salvezza in negativo nella rinuncia alle passioni, come suggerisce la musica stessa di Verdi. Questa differenza di prospettiva era riscontrabile anche nelle voci, che nella diretta televisiva avevano un po’ tutte lo stesso peso sonoro e tutte si imponevano sull’orchestra, mentre dal vivo mostravano notevoli differenze di spessore, in particolare quella del tenore Brian Jagde, in teatro un vero e proprio uragano per l’impeto del fraseggio e lo squillo del timbro (fatti salvi i limiti di cui si è già parlato nella recensione dell’8 dicembre), ma anche quella più ombrosa del basso Alexander Vinogradov, un Padre Guardiano da incorniciare. Prospettive diverse, ma in entrambi i casi questa Forza del destino scaligera ha saputo emozionare.
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