VALORIZZAZIONE
La scommessa: investire nella cultura
Dalle ville ai musei: come rilanciare il brand Varese
Quando raccontava la tendenza al minimalismo dei suoi concittadini, Piero Chiara citava Carlo Dossi, esponente della Scapigliatura lombarda: “A Vares tutt cala de pes”. Il carattere della gente di qui è tale da sottrarre anziché aggiungere, da nascondere anziché ostentare, da prediligere il silenzio, anziché il chiasso. Per questo un territorio privilegiato da madre natura, meravigliosamente seduto sulle sue colline tra i laghi e le Alpi, non ha raccolto quanto meritava dopo i fasti della Belle Epoque. Ha conservato ricchezza ma ha perso mercato. E quando gli antichi primati industriali hanno cominciato a sfarinarsi, l’immagine della città-giardino è finita in un cono d’ombra. Con molto meno, altre aree geografiche hanno avuto più luce.
Si dice che Stendhal fu colto due volte dal turbamento psicosomatico (sindrome) che si prova per eccesso di bellezza: a Firenze davanti alle statue di Michelangelo, nel Varesotto al cospetto di ineguagliabili paesaggi naturali. Con queste premesse, l’idea di affidare, si spera seriamente questa volta, il rilancio del brand Varese a un investimento culturale su ville, parchi, musei, monumenti sacri e laici, è una gran bella idea. Non sappiamo se un giorno, a progetto concluso, giardini e residenze patrizie del nostro contado attireranno visitatori come le ville palladiane e medicee. Ambirvi pare francamente un azzardo. Sappiamo però che un assessore “straniero”, il fiorentino Roberto Cecchi, sta raccogliendo i primi imprevedibili risultati di quanto ha in mente. Per ora ha convinto le signorie locali ad aprire al pubblico le loro magioni private, sconosciute ai più: il “sì” non era scontato. E in questo modo le ha coinvolte in un’operazione che la Prealpina ha riassunto in prima pagina con un titolo: Varese sei bella, fatti ammirare da tutti. L’iniziativa ci sembra interessante perché non riguarda una oligarchia politica, ma la “polis”, cioè il comune senso di partecipazione alle vicende di un territorio. L’iniziativa ci pare diversa da altre simili perché chiede a questa “polis” di metterci del suo. Il fine ultimo non è farsi aprire porte solitamente sbarrate ai curiosi, bensì ottenere dai padroni di casa che la loro ospitalità accompagnata da qualcos’altro produca frutti nel tempo. Come? Con eventi d’arte varia, con approfondimenti sulla storia di questa o quella residenza, mostrando edifici e giardini, si capisce, ma anche scoprendo le storie che gli hanno dato dimensione poetica e valenza spirituale.
Gli spunti non mancano: quando si dice genericamente che Varese è culturalmente arida e storicamente insignificante, si fa torto al suo passato. Luogo di delizia del patriziato milanese nei secoli scorsi, la città deve a questa élite illuminata la trasformazione di un’Arcadia rurale in crocevia frequentato da personaggi illustri. Furono ospiti dei signori del borgo estense l’ultimo Giuseppe Verdi, che venne qui a scrivere la musica dell’Otello, il tenore Tamagno, che abitò la grande villa Pero, oggi parte dell’ospedale di Circolo, lo scrittore Elio Vittorini che nel dopoguerra si nascose in una villa del Sacro Monte. E si potrebbe continuare l’elenco con Guido Morselli, con Guido Piovene, con Renato Guttuso il cui atelier estivo a Velate fu meta per una trentina d’anni della migliore intelligenza di sinistra. Vi trascorse qualche giornata anche Pablo Neruda, testimone di nozze del pittore siciliano.
Ora è tempo che tutte queste storie escano dall’anonimato e contribuiscano a “vendere” all’esterno un ritratto diverso della città. Che deve moltissimo al materialismo industriale, sia chiaro, ma ha tutto l’interesse a recuperare il volto nascosto della propria identità. Le idee e i progetti non bastano, ci vogliono le risorse economiche. E ci vogliono scelte di campo che di una buona amministrazione sono il sale. Domanda, restando nell’ambito culturale: sicuri che costruire un nuovo teatro in un’epoca di frammentazione dei gusti e dei consumi, dia maggiori profitti di un investimento con respiro ampio e originale? Certo: Varese da 40 anni sente il bisogno di lavarsi l’anima per la sciagurata e ottusa demolizione del teatro che aveva ed era bellissimo. Ma forse in tutto questo tempo le priorità sono cambiate. E se a Milano vecchi e paludati teatri chiudono, davvero non si vede come la provincia dovrebbe bagnare il naso alla metropoli. Facciamoci un pensierino sotto l’ombrellone. Tanto più che un teatro, seppur di pezza, ce l’abbiamo.
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