AUTUNNO
Lo street food stagionale: le castagne
Oggi cibo da gustare in compagnia, in passato il “pane dei poveri”

Se, come recita il detto, «Una rondine non fa primavera», la castagna fa senza ombra di dubbio autunno. Ottobre e novembre sono i mesi in cui l’umile ghianda diventa regina della tavola e le caldarroste spopolano nelle sagre di paese e nelle vie dei centri cittadini dove i caldarrostai, diffondono quel profumo inconfondibile di nebbia e di sottobosco.
Street food stagionale, le castagne avvolte in un cono di carta fumante si sgranocchiano mentre si passeggia, sbirciando nelle vetrine dei negozi o mentre si assiste alla loro preparazione, quasi sempre all’aperto, davanti al fuoco che trasforma il frutto in una golosa delizia per il palato. La caldarrosta mette allegria e fa subito festa proprio perché, spesso, la si gusta in compagnia. A fronte di questi aspetti però, in tempi neanche troppo lontani, la castagna ha rivestito un importante ruolo sociale, salvando intere generazioni da fame e carestie grazie anche al fatto che la sua polpa poteva essere trasformata in farina o essiccata, diventando dunque un ingrediente disponibile in tutti i mesi dell’anno. Ancora oggi è definita “il pane dei poveri” e ancora oggi rappresenta l’alimento base della dieta delle popolazioni di montagna.
Non è forse un caso che il Manzoni (ma questa è solo una teoria letteraria) ne I Promessi sposi avesse chiamato la fanciulla protagonista del romanzo, Lucia Mondella, termine dialettale che significa “caldarrosta”, facendo intuire le umili origini e la condizione di povertà in cui viveva la fanciulla amata da Renzo. È dunque di fondamentale importanza non solo ricordare il valore storico che questo frutto ha acquisito nel corso dei secoli ma preservare, qui ed ora, l’habitat naturale della pianta del castagno.
Le selve castanifere, diffuse in tutta l’area del Mediterraneo, sono uno scrigno sacro della biodiversità da tutelare e proteggere non solo dalle malattie che colpiscono naturalmente la pianta, ma anche dalle nuove insidie che il mondo globalizzato inevitabilmente comporta: come il Cinipide galligeno, che pochi anni fa ha messo a repentaglio la produttività dei castagneti italiani. Di questo si occupano i consorzi e le cooperative di castanicoltori diffusi in tutto il Paese: valorizzare il frutto e preservare le peculiarità del territorio in cui dimorano gli alberi.
Vulnerabile come ogni essere vivente, il castagno, un arbusto forte e massiccio, ha comunque lunga vita. Una pianta può sopravvivere per oltre ottocento anni. Il primato del castagno più longevo del mondo è, ad oggi, tutto italiano: il Castagno dei cento cavalli che cresce alle pendici dell’Etna, da studi recenti, si pensa possa avere più di tremila anni. La leggenda racconta che la regina Giovanna D’Aragona avesse trovato riparo, con tutti i suoi cavalieri, sotto le fronde di questo enorme albero nel bel mezzo di un temporale. Sono centinaia gli aneddoti legati alla pianta e al frutto del castagno. Una vecchia abitudine è quella di conservare una castagna “matta” nella tasca della giacca per tenere lontani raffreddore e mali di stagione. Non è detto che funzioni ma almeno ci si porta appresso, nei mesi più freddi, tutta la magia di un’usanza di tempi antichi.
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