CONTROPASSATO PROSSIMO
Mein Kampf: un ritorno controverso
Un lavoro che demolisce le bugie e le falsità ideologiche di Hitler

Indro Montanelli lo aveva liquidato come “una collezione di scemenze”. Secondo lo storico Christoph Hartmann, invece, un libro “disgustoso, scritto male, pieno di errori e bugie”. Eppure non un testo qualsiasi, anzi: per il collaborazionista Jacques Benoist-Méchin quel libro aveva “cambiato la faccia al mondo”.
E infatti nel 1945, finita la Guerra, ne erano state eliminate milioni di copie e vietata la ristampa: in Germania circolavano solo le vecchie edizioni degli antiquari. Poi, dopo polemiche infuocate, nel gennaio 2016 il Mein Kampf, la “Bibbia del nazismo”, fu ripubblicato e a fine mese era già introvabile: 55 mila copie vendute, la prima edizione esaurita in un giorno. Un successo clamoroso.
La storia è nota: fallito il Colpo di Stato dell’8 novembre 1923 Adolf Hitler, condannato a cinque anni per alto tradimento, finì nel carcere di Landsberg. Un ospite d’onore, più che un galeotto: camera panoramica, riceveva amici e omaggi, impartiva ordini all’esterno. E nel novembre 1924, solo nove mesi dopo, scarcerato perché considerato sostanzialmente innocuo.
Nel frattempo però si era dedicato a costruirsi una legittimità intellettuale e a esporre il suo pensiero. Peraltro – secondo i maligni – erano stati gli altri detenuti, stanchi di sentire i suoi continui monologhi insensati e logorroici, a suggerirgli di scrivere le sue memorie.
Comunque, in cella Hitler dettò parte della sua autobiografia al fedele segretario Rudolf Hess, che la trascrisse con la sua macchina da scrivere Remington. Poi, una volta libero, si dedicò alla seconda. Alla fine, 800 pagine in una prosa rozza e ridondante: secondo Otto Strasser – autore del libro Hitler e io – con lo stile “di un allievo delle elementari”. Intervenne allora il consulente di Hitler, l’erudito prete nazista Bernhard Stempfle, e ne eliminò “gli errori flagranti e le banalità troppo infantili”.
Il Mein Kampf era pronto: il primo volume, sottotitolato Bilancio, uscì il 18 luglio 1925 e il secondo, Il Movimento nazional-socialista, l’11 dicembre 1926.
Per tre anni passò quasi inosservato, anzi molti critici lo stroncarono come il delirio di un megalomane e altri lo irrisero: il giornale «Völkischer Beobachter» ne storpiò addirittura il titolo in Mein Krampf (“Il mio crampo”).
Insomma, un’opera – ha scritto Sven Kellerhoff – “intellettualmente misera, piena di errori grammaticali, stilisticamente obbrobriosa, che pullula d’insulti, falsi autobiografici e assurdità storiche”. Vero: ma in realtà sbagliarono tutti a sottovalutarlo. Quel libro era la piattaforma ideologica del nazismo, descriveva la sua visione del mondo e cosa avrebbe fatto Hitler una volta al potere: lo Stato totalitario, lo “spazio vitale”, la supremazia della razza ariana e i nemici da eliminare, gli ebrei. Insomma, un breviario dell’odio pieno di menzogne: perfette però per sobillare gli animi e costruire la leggenda di un Hitler “eroe vicino al popolo”.
Così, il destino del Mein Kampf seguì la parabola del suo autore e dal 1933, quando Hitler prese il potere, ne uscirono infinite edizioni per tutte le tasche, anche rilegate in pelle bianca con incisioni d’oro.
In breve si diffuse ovunque, addirittura veniva regalato “solennemente” agli sposini il giorno delle nozze: nel 1945 ne circolavano ormai oltre 12 milioni di copie.
Poi la guerra finì e fu vietata la ristampa fino allo scadere dei diritti d’autore, il 31 dicembre 2015. Che fare allora? Per qualcuno, un pericolo ripubblicarlo: significava legittimarlo, di nuovo. Per altri la censura è esclusa, sempre. E la democrazia non può avere paura dei libri: anzi, erano proprio i nazisti a bruciarli.
Così nel gennaio 2016 uscì l’edizione curata dall’Istituto di Storia di Monaco: 1.948 pagine, 80 di introduzione, 122 di bibliografia e 3.500 note a margine. Un lavoro scientificamente straordinario, che smaschera e demolisce parola per parola le tesi razziste, le bugie e le falsità ideologiche di Hitler. Capitolo chiuso, quindi. Eppure in quel libro, che aveva incendiato l’Europa, molti avevano creduto. E non bisogna dimenticarlo.
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