NATALE
Nel Duomo la Natività è di vetro
La storia delle 55 vetrate segue i lunghi lavori della cattedrale. Quest’anno sono due gli antelli che si possono ammirare da vicino
Varcando la soglia del Duomo di Milano in tarda mattinata si rimane impressionati dalla luce che, penetrando dalle vetrate del fianco destro, ne sparpaglia i colori sui piloni, creando un effetto di caleidoscopica suggestione. La storia delle 55 vetrate monumentali segue il lungo protrarsi del cantiere della cattedrale, trai primi anni del Quattrocento e il Novecento, con una pausa tra Sei e Settecento per l’avanzamento dei lavori edificatori, quando l’unica attività relativa alle vetrate è quella di manutenzione, per porre rimedio ai danni provocati da vento, intemperie e guerre. Nel corso dei secoli cambia anche la tecnica di realizzazione delle vetrate: le più antiche sono composte da vetri colorati che venivano tagliati sulla base del disegno degli artisti (servendosi di cartoni preparatori) e poi assemblati. Si procedeva infine alla fase pittorica vera e propria, cioè la stesura della grisaille sulla superficie interna della vetrata, che consentiva di definire espressioni dei volti, dettagli di architetture e paesaggi, panneggi e chiaroscuri. Nell’Ottocento si utilizzò la tecnica della pittura a fuoco, più simile alla pittura, con la quale venivano fissati i colori su vetri originariamente neutri, dando luogo a risultati molto più modesti dal punto di vista luminoso e cromatico. Solo nel Novecento si recuperarono le tecniche più antiche che si ritrovano, ad esempio, nell’ultima vetrata realizzata per il Duomo a opera dell’ungherese János Hajnal.
Dal 2013 le vetrate raffiguranti la Natività (e altri episodi quali l’Annunciazione o l’Adorazione dei Magi) sono protagoniste del presepe natalizio. Gli operai della fabbrica del Duomo, esperti nel maneggiare manufatti preziosi e delicati, tolgono dalla struttura del finestrone il telaio metallico che protegge la vetrata, lasciando al suo posto la sola ramata, una maglia finissima in rame che protegge gli antelli, e collocano l’antello presso l’altare di San Giovanni Bono.
Quest’anno si potranno così ammirare da vicino i due antelli provenienti dalla vetrata che si trova in corrispondenza dell’altare dedicato a Santa Caterina da Siena, nel transetto settentrionale della Cattedrale. Qui, le storie di Maria culminano con la scena della Natività, raffigurata all’interno di un edificio in mattoni, dove il bambino è adorato da Maria inginocchiata, da un angelo di straordinaria dolcezza, da un pensoso san Giuseppe e da due pastori, che accedono da un’apertura ad arco, il primo già inginocchiato e il secondo che incede nel piccolo ambiente togliendosi con una mano il cappello, mentre nell’altra regge una zampogna. Da un altro ingresso sopraggiungono due figure, un pastore e forse uno dei magi, con il bastone da viaggio, un ampio mantello e dei curiosi zoccoli aperti in punta.
La vetrata riporta al centro la data 1562. Fu eseguita dal mastro vetraio Corrado de Mochis da Colonia, documentato in Duomo sin dal 1544, insieme ad aiuti tedeschi e fiamminghi. Egli dominerà il cantiere vetrario della Cattedrale sino al 1569, anno in cui perse la vita in un funesto incendio che distrusse la sua bottega, vari antelli e tutti i suoi strumenti di lavoro.
Negli anni scorsi è stato possibile contemplare da vicino altre vetrate a tema natalizio. Nel 2013 è stata esposta una delle più antiche, appartenente alla grande vetrata del Nuovo Testamento, un tempo collocata sul finestrone absidale commissionato nel 1414 dalla Fabbriceria della Cattedrale, rimasto a lungo interrotto e ripreso una settantina di anni dopo e rifatto a partire dal 1838 dal maestro Giuseppe Bertini, che collocò le parti rimaste della vetrata originale nel quinto finestrone della navata meridionale del Duomo.
L’antello della Natività, databile agli anni Ottanta del Quattrocento, fa parte del gruppo realizzato su cartoni di Vincenzo Foppa, uno dei più importanti interpreti delle novità rinascimentali nel nord Italia. Il cartone fu poi trasposto da Cristoforo e Agostino de Mottis in tessere vitree colorate, completate per la parte grafica – lineamenti, chiaro-scuri, definizione di architetture o di volumi – dal disegno eseguito a grisaille. Il Bambino in primo piano, adorato dalla mamma inginocchiata, è disteso a terra, adagiato su un lembo dello stesso manto di Maria, a proteggerlo dal freddo del terreno, ed è e colto nel gesto naturalissimo e spontaneo di portarsi il piccolo pugno alla bocca, per rendere vero e vicino ai fedeli che percorrevano il tornacoro il Mistero della nascita. Al posto di questa vetrata, nell’Ottocento Giovan Battista Bertini realizzò la sua Natività: Maria con un gesto delicatissimo solleva la coperta svelando al mondo il Bambino. Gesù emana una luce che illumina la mamma e la mano di Giuseppe, rimasto in parte nell’ombra di chi deve solo custodire un figlio che gli è stato misteriosamente affidato.
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