DA VEDERE
Pink & Powerful, la voce femminile dell’arte
La Galleria Punto sull’Arte ospita una mostra per parlare di donne. Sono tredici le protagoniste che con le loro opere giocano con il rosa

La storia dell’arte è costellata di figure femminili, spesso rimaste nell’ombra degli uomini, padri, mariti, amanti. Figlie di un dio minore, paradossalmente le donne non sono mai state formalmente escluse in toto dalla possibilità di dedicarsi all’arte, ma sempre in secondo piano, costrette a entrare nel mondo dell’arte dalla porta di servizio. Eppure non sono mancate eccellenze, dalla miniatrice Claricia, che con orgoglio si firma nel capolettera di un codice del XII secolo, a Properzia de Rossi, la prima scultrice di cui abbiamo notizia, dall’architettrice Plautilla Bricci fino a Francesca Bresciani, così abile nella lavorazione del lapislazzulo da spuntarla su Bernini, il “padrone del mondo”, a cui fu intimato, dal papa in persona, di rifondere l’artista con il giusto compenso.
E se ancora negli anni Settanta Anne Marie Boetti, critica d’arte e compagna di Alighiero Boetti, si chiedeva “l’arte ha un sesso?” e rispondeva “l’arte no, ma gli artisti si”, oggi, «a tre anni dalla Biennale di Venezia più femminista di sempre (Il latte dei sogni di Cecilia Alemani vede il 90% di presenze femminili a fronte di un salomonico 50% nel 2019 e di un 35% nel 2017, pur con la curatela di una donna), si tirano le somme su un mondo dell’arte che sta finalmente guardando alle artiste. Con reale interesse e non solo come fenomeni da tenere d’occhio». Ne è convinta Alessandra Redaelli, curatrice della collettiva inaugurata (l’8 marzo) alla Galleria Punto Sull’Arte di Varese, fondata e diretta da Sofia Macchi.
Un’esplosione di creatività al femminile, un omaggio alla forza e alla sensibilità delle artiste nell’affrontare anche temi complessi e fondamentali. Tredici le protagoniste, con le loro opere giocate sui toni del rosa (il Pink & Power del titolo, simbolo del potere gioioso e un po’ magico delle donne). Le creature leggere e danzanti di Alice Zanin (1987) riecheggiano nel realismo magico di Claudia Giraudo(1974), con le sue bambine in compagnia dell’animale guida, simbolo del Daimon che appare accanto alla sua persona per guidarla sul cammino dell’esistenza. Ilaria del Monte(1985) cattura con un linguaggio surrealista e onirico, mentre Valentina Ceci (1985), con una tecnica straordinaria che utilizza la penna a sfera, racconta del cortocircuito tra la natura inviolata e l’intervento umano.
La perfezione delle forme naturali ritorna nel vortice in vetroresina di Annalù(1976) e nei paesaggi dell’anima di Marika Vicari (1979), boschi disegnati a graffite su tavola.
Le sculture iperrealiste di Valeria Vaccaro(1988), che finge il legno con il marmo, dialogano con l’uovo in marmo di Jill Höjeberg(1949), simbolo della tenera potenza della sessualità femminile e della sacralità della nascita, e con la denuncia forte (e insieme delicata) dei guantoni da box di Silvia Levenson (1957), un “ossimoro” in cemento rosa.
Sempre in ambito scultoreo, le opere di Lene Kilde (1981) offrono uno sguardo sull’infanzia con una un’onnivora felicità nella contaminazione dei materiali.
Valentina Diena (1996) usa le matite colorate per portare la rappresentazione della realtà ai limiti dell’iperrealismo, e provoca una riflessione sugli oggetti di consumo che caratterizzano la società contemporanea; fa eco il linguaggio “pop” di Sabrina Milazzo (1975), con i personaggi dei fumetti che si liquefanno.
Infine, i lavori della varesina Lara Martinato(1967), raccontano della potenza e della sacralità del femminile, con le sue donne samurai che si stagliano sul fondo lavorato a foglia ora, una tecnica sapiente che deriva dalla tradizione duecentesca, avviando un dialogo tra materia e spirito.
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