IL VOTO
Referendum, la domenica della verità
Maggiore autonomia: Lombardia al voto elettronico per la prima volta
Siamo al dunque. Perlomeno, sono al dunque i quasi 8 milioni di elettori della Lombardia, per la precisazione 7.857.056, che oggi, domenica 22 ottobre, dalle 7 alle 23, sono chiamati a votare per l’autonomia regionale.
Referendum voluto dall’esecutivo di centrodestra guidato da Roberto Maroni, che introduce una novità: il voto elettronico.
Per la prima volta nel nostro Paese sono abolite le tradizionali schede e la matita copiativa, sostituite dalla bellezza di 24.700 votingmachine, cioè tablet su cui esprimere un sì, un no, una scheda bianca. Da ieri, le “macchine” sono state installate nelle 9.224 sezioni elettorali, distribuite in 3.263 edifici di 1.523 Comuni. Non sono mancati guai al momento dell’insediamento dei seggi.
Un’operazione complessa, che comunque Gianni Fava, assessore regionale delegato a seguire l’organizzazione della consultazione, ritiene essere arrivata in porto. Magari con qualche comprensibile problema di ordine tecnico, peraltro risolto, ma senza pesanti intoppi.
Tutto a posto, allora? Sulla carta, certo che sì. La controprova si avrà soltanto questa sera, a chiusura dei seggi. Le preoccupazioni ci sono, non si possono nascondere. Il voto elettronico dispone la Lombardia verso il futuro, rappresenta un decisivo banco di prova in vista della sua estensione anche alle elezioni politiche; però, c’è più di un però.
Il primo riguarda la sicurezza del voto, cioè l’impossibilità di attacchi informatici che ne vanifichino l’affidabilità. Rassicurazioni in questo senso sono state più volte ribadite: le simulazioni hanno confermato l’inviolabilità del sistema e la certezza dei risultati, tutti certificati. Le modalità di voto sono elementari, comportano tre banali operazioni, ma come la prenderanno, ad esempio, gli elettori più anziani? E chi non ha mai avuto dimestichezza con un computer?
Ostacoli psicologici, più che pratici, che potrebbero contribuire ad abbassare l’affluenza dei cittadini alle urne. E’ proprio sulle percentuali di affluenza che si gioca la riuscita o no del referendum. Maroni pone la soglia minima per parlare di successo al 34 per cento, quanti votarono nel 2001 al referendum per la riforma costituzionale del titolo quinto.
A dire il vero, le attese son più alte, in virtù del quesito referendario che chiede in modo indiretto un sostegno esplicito alla Regione, la quale aprirà la negoziazione col governo per ottenere maggiori competenze e risorse su alcune materie. Più gente si esprime quest’oggi, più convincenti saranno le proposte di Maroni e soci al tavolo della trattativa. Insomma, il sì equivale alla legittimazione popolare per l’autonomia. Attenzione, autonomia in scia a quanto prevede la Costituzione. Nulla da omologare alla battaglia indipendentista della Catalogna, benché il fantasma catalano sia stato e venga utilizzato dagli avversari del referendum per sparagli contro e, in alcuni casi, addirittura per ridicolizzarlo.
Si fa leva sui costi, sul fatto che la consultazione si sarebbe potuta evitare avviando comunque il confronto con il governo; si pone in evidenza il presunto uso strumentale delle urne, ribaltate in chiave elettorale (a primavere si vota per le Regionali) invece di mantenerle in un ambito istituzionale.
Osservazioni a cui i promotori dell’iniziativa referendaria replicano con il fatto che una democrazia compiuta prevede di chiedere il parere dei cittadini, tanto più su una questione importante come l’autonomia. E mettono in risalto le divisioni del Partito democratico, con i sindaci schierati per il sì e la direzione politica dem per l’astensionismo. Insomma, sullo sfondo fa capolino lo scontro politico. E cosa se no? Dal canto suo, Roberto Maroni ha più volte detto che avvierà subito la trattativa con Roma, invitando il Consiglio regionale, convocato per martedì, a conferirgli il mandato ufficiale all’indomani del referendum.
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