IL PROCESSO
«Voleva ucciderlo». Chiesti 5 anni
Ex dipendente Stie alla sbarra. Il litigio per un giorno di ferie negato
Mentre lo prendeva brutalmente a calci in testa e in faccia, gli urlava «ti ammazzo». Come sarebbe possibile sostenere un’accusa diversa da quella di tentato omicidio? Per questo ieri mattina, martedì 23 aprile, al termine della requisitoria, il procuratore aggiunto Giuseppe D’Amico ha chiesto una pena non lieve: cinque anni e quattro mesi per l’ex dipendente Stie Filippo Mazzitelli che a settembre del 2017 mandò il capo in coma. Difeso dall’avvocato Davide Toscani, l’uomo ha sempre dichiarato che uccidere Vezio Guidobono non fosse il suo scopo.
Nel corso della requisitoria tuttavia D’Amico ha sottolineato la sproporzione fisica tra i due - l’imputato è massiccio e imponente, la vittima decisamente più gracile - e la determinazione con cui il 4 settembre Mazzitelli picchiò il suo responsabile.
Guidobono finì in ospedale in prognosi riservata, con gravi ematomi cranici, fratture degli zigomi e del naso, insufficienza respiratoria. Devastato al punto che la moglie, all’udienza precedente, si è presentata con le fotografie raccapriccianti del volto trasfigurato dalle percosse.
Sta di fatto che la vittima si è costituita parte civile, con il patrocinio dell’avvocato Marzia Giovannini.
Il gup Luisa Bovitutti ha rinviato la discussione delle altre parti a maggio.
I rapporti tra i due erano tesi da tempo, da quando cioè il dipendente della Stie aveva chiesto il prepensionamento ai piani alti, scavalcando di fatto il suo capo. A quanto pare da quel momento Guidobono avrebbe iniziato ad applicare metodi rigidi, di cui Mazzitelli si sentiva vittima.
Le ferie erano un miraggio, i permessi ancor di più. Poi arrivò pure una contestazione disciplinare. L’imputato - ora cinquantanovenne - aveva i genitori anziani e malati. Spesso la richiesta di assentarsi dal lavoro era legata all’esigenza di accudirli, come il 31 luglio e il 31 agosto, un giorno di ferie e uno di congedo entrambi negati.
A settembre l’esattore di biglietti della società di trasporti perse la pazienza. «La richiesta di pena mi pare eccessiva e sproporzionata rispetto al fatto. Il mio assistito è incensurato, era vessato, ha poi chiesto sinceramente scusa e per ora ha versato 10mila euro alla vittima», osserva l’avvocato Toscani. «Si è trattato di dolo di impeto e non di premeditazione», conclude. Ulteriori considerazioni difensive saranno riservate al gup Bovitutti.
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