I CAMBIAMENTI
Da Cheope alla Lego tutta l’evoluzione della piramide
Tutti gli sviluppi nell’iconografia del celebre monumento sepolcrale
Da che è mondo e mondo c’è una parola di cui tutti conoscono il significato: piramide. Tutti “sanno” collocarla nello spazio e nel tempo: già prima delle elementari ci insegnano, sbagliando, che piramide “fa rima” con Antico Egitto, quello dei faraoni. Da secoli piangono questa semplificazione Aztechi, Maya e Sumeri: nell’America Centrale e in Mesopotamia, dove prendono il nome di ziggurat, di piramidi ce ne sono tantissime, senza contare che oggi il Paese che ne conta di più è il Sudan (oltre 200, il doppio di quelle egiziane) con buona pace del confine ballerino che nell’antichità divideva gli Egizi dal regno della Nubia, altra civiltà sviluppatasi contemporaneamente lungo il corso del Nilo. Chi le ha costruite, le piramidi sudanesi? E poi bisogna contare che la piramide più moderna, di tutt’altra epoca e di tutt’altro materiale, è stata costruita a Parigi: gli hanno dato il nome di Louvre. Insomma, «Ma quale piramide d’Egitto» verrebbe da esclamare per garantire almeno verbalmente l’eterno riposo al buon Cheope, a suo figlio Chefren e allo iellato Micerino (morto prima di vedere finito il lavoro che aveva commissionato). Cari turisti, andate più a Sud…an.
Niente da fare: crociera sul Nilo e visita alle piramidi e alla loro cara amica Sfinge: ecco come i più sintetizzano un’intera epoca storica.
Dai, però non hanno tutti i torti: la piramide sta all’Egitto come la pizza all’Italia e la paella alla Spagna, e se dite che la piramide non è la pizza o la paella perché non si mangia vi sbagliate visto che “piramide” è anche una forma geometrica, come quella che ha la croquembouche, la piramide di bigné al caramello che è il Sacro Graal della pasticceria francese.
Ma che fine ha fatto la piramide? Quelle originali, anzianotte, non girano il mondo come la loro fama. Fama che ha spinto il ministro degli Esteri danese Lars Løkke Rasmussen a regalare una piramide al suo omologo egiziano Badr Abdelatty durante la recente visita di quest’ultimo a Copenaghen. Cheope e gli altri faraoni, però, almeno in questo caso possono dormire sonni tranquilli: il loro ministro non avrà un monumento funebre costruito da migliaia di operai e contadini come è successo a loro, ma un bellissimo ricordo assemblato dai suoi nipotini che dovranno impilare uno sull’altro centinaia e centinaia di mattoncini: quelli dell’azienda danese più nota nel mondo, la Lego. Non c’è che dire, un regalo studiato e divertente. E chissà che per una visita di Stato a Copenaghen del ministro Tajani la Lego non crei anche il modellino di una bella Margherita.
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