ARTE
I due artisti rivoluzionari della materia
A Lugano la mostra sui due maestri futuristi Burri e Prampolini
Dopo il primo dedicato a Balla e Dorazio, nel 2023, e quello dell’anno successivo riservato a Yves Klein e Arman, il terzo saggio, che la Collezione Giancarlo e Danna Olgiati dedica, a Lugano, all’arte del Novecento, si sviluppa attraverso il confronto tra due altre grandi personalità: Enrico Prampolini (1894 – 1956) e Alberto Burri (1915 - 1995), con la mostra Prampolini Burri. Della materia, curata da Gabriella Belli e Bruno Corà, visitabile fino al giorno 11 gennaio 2026.
È un percorso sulle potenzialità linguistiche della materia -organizzato su due percorsi paralleli, uno bianco e l’altro nero, nettamente distinti dall’architetto Botta, ideatore del progetto allestitivo- che esplora un tema particolare: quello dell’uso, in arte, di materiali anomali. Tema importantissimo nell’arte novecentesca (sebbene al visitatore d’oggi possa sembrare scontato, tanto l’uso di questi materiali “eccentrici” è diffuso nell’arte contemporanea), posto da Picasso nei primi anni Dieci del cosiddetto “Secolo breve” con i suoi collage i quali hanno così aperto la via agli artisti per l’impiego di materiali diversi da quelli della pittura tradizionale.
Di Prampolini, uomo teorico, sperimentatore, “futurista eclettico” (aderisce al movimento nel 1913), sono presenti alcune opere futuriste per sottolineare come la partecipazione al movimento marinettiano, movimento di rottura con il passato, eversivo, avanguardista, all’origine di molte tendenze dell’arte contemporanea, gli permetta di “saltare il fosso” (nelle parole della curatrice) e di saggiare già nel 1914 le possibilità espressive del polimaterismo. Ecco quindi sabbia, colla, piume… insomma i “relitti di vita” (come li definisce l’artista) fare la propria apparizione negli automatismi polimaterici degli anni Trenta e Quaranta. L’uso di questi materiali eterogenei, e qui riposa la differenza sostanziale con Burri, esprime l’analogia cioè sottintende un idealismo, una rappresentazione metaforico-simbolica del mondo, in altre parole le materie di Prampolini sono “forme che stanno-per”, si aprono ad un quid di misterioso che nel corso degli anni successivi porta ad una “rarefazione formale molto forte”.
Alberto Burri, ufficiale medico in Africa, prigioniero di guerra in Texas, è proprio nel campo di prigionia che scopre, autodidatta, la propria vocazione artistica. Si pone il dilemma di come articolare da zero la lingua pittorica, la lingua dell’arte. L’impiego che fa della materia è, alla fine, un contributo radicale a questo problema perché riesce ad immettervi -afferma Bruno Corà- la “drammaturgia”; il dramma della propria vicenda personale (il curatore ricorda e avvicina l’artista umbro a Caravaggio): l’esperienza della cattività americana, quella del ritorno in una Patria bombardata, distrutta: macerie ovunque. Ma la materia di Burri non è solo richiamo esistenziale; rimane elemento ‘tecnico’, deve cioè funzionare da colore: nella composizione complessiva dell’opera, se il “sacco è marrone, deve funzionare da marrone”. Ma questi due piani non rimangono separati, si fondono nell’impiego di materiali vissuti dall’umanità che li ha usati, strappati, cuciti….
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