CERCANDO DI CAPIRE
Disagi e rancori che crescono silenziosi
La psicologa: «Dietro comportamenti così improvvisi ci sono quasi sempre sofferenze e tensioni pregresse

Un giovane che uccide il padre non è solo una tragedia familiare, ma una ferita sociale. «Dietro comportamenti così improvvisi e violenti, osserva la psicologa varesina Maria Rosaria Infante, ci sono quasi sempre tensioni pregresse, impulsi mal gestiti, personalità segnate da sofferenze profonde». Il riferimento è al recente fatto di cronaca accaduto a Luino, ma il discorso va ben oltre il singolo episodio. La dottoressa Infante non minimizza né semplifica, ma invita a guardare oltre l’apparenza.
«Non sono azioni che accadono nel vuoto come raptus - sottolinea -. In generale sono spesso il frutto di un disagio che cresce nel tempo, magari inascoltato, legato a una storia familiare fatta di incomprensioni, silenzi, emozioni non elaborate. Alcuni figli, specie se particolarmente sensibili, faticano a interpretare le dinamiche tra gli adulti e finiscono per sentirsi soli, incompresi, talvolta spinti da una rabbia che non ha parole».
LE DOMANDE IRRISOLTE
È il caso, spiega, di chi vive un vissuto di abbandono o ha affrontato un’adozione difficile. «I ragazzi adottivi portano con sé un bagaglio di domande irrisolte - aggiunge la professionista -. Anche quando crescono in famiglie amorevoli, rimangono fragilità profonde che richiederebbero ascolto costante, vicinanza emotiva, contenimento». Nessuna giustificazione, semmai un tentativo di comprendere. «Quel ragazzo - prosegue Infante - aveva probabilmente una storia complessa, fatta di abusi di sostanze, delusioni sentimentali, un senso cronico di inadeguatezza. Ha covato rancore, si è chiuso e a un certo punto è esploso. Forse non aveva i mezzi per elaborare quel dolore e, soprattutto, i propri impulsi». Secondo la psicologa, episodi come questo impongono una riflessione più ampia sul ruolo genitoriale. «Diventare maggiorenni non significa essere pronti alla vita - specifica -. Un ragazzo di venticinque anni può sembrare autonomo, ma non esserlo affatto sul piano affettivo. Molti genitori, e parlo in generale, non del caso specifico, soprattutto dopo una separazione, commettono l’errore di pensare che basti la maggiore età per lasciarli andare: smettono di osservare, di accompagnare, di interrogarsi su ciò che accade dentro».
LA DOMANDA SCOMODA
La domanda da porsi è scomoda ma necessaria: fino a quando bisogna restare presenti? «Molti credono che basti dare oggetti, un tetto, qualche mezzo economico - è la conclusione -, ma i figli non vanno solo cresciuti perché vanno curati, anche dentro. Se nessuno si accorge del loro malessere, questi giovani rischiano di rimanere soli con le loro ombre. E a volte quelle ombre si trasformano in gesti irreparabili. Non posso entrare nel merito della storia di questo ragazzo, vorrei solo offrire qualche spunto di riflessione. Può essere che vittima non sia solo il povero padre ammazzato, ma anche il giovane omicida».
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