LA MOSTRA
I grovigli di Yuko Mohri
All’HangarBicocca la mostra più estesa dell’artista giapponese in Europa. È conosciuta nel mondo per i suoi intricati e originali assemblaggi

Basta una scala per fare la rivoluzione? Forse no. Ma, insieme con poco altro, è sufficiente a Yuko Mohri (Kanagawa, 1980) per realizzare la più elegante installazione di Entanglements, la personale che HangarBicocca dedica all’artista giapponese, fino a 11 gennaio 2026.
You locked me up in a grave, you owe me at least the peace of a grave (2018) è il suo lungo titolo, tratto dal rivoluzionario francese Louis-Auguste Blanqui. È composta da una scala a chiocciola che, sospesa, ruota su sé stessa, attorniata da altoparlanti conici anch’essi rotanti che diffondono suoni; è allestita come opera conclusiva nel buio della parte finale dello Shed tale che nel gioco percettivo entrino anche luci e ombre. Se quest’opera ha l’ambizione di riflettere sulla rivoluzione, intesa come “trasformazione radicale capace” di creare un ordine nuovo, non stupisce l’omaggio formale a un celebre progetto avanguardista russo: il Monumento alla III Internazionale di Tatlin, che – tra l’altro – realizzò strutture polimateriche sospese. Ecco allora che gli altoparlanti evocano i “megafoni” e i cunei dei manifesti costruttivisti.
A ritroso, incontriamo, tra le altre: Decomposition (2021-in corso), una “natura morente”: sensori inseriti in frutti maturi ne captano i cambiamenti fisici per trasformarli in impulsi sonori e visivi che alimentano un pannello retroilluminato (già presente in Biennale 2024); Piano Solo: Belle-Île (2024), complesso omaggio a Monet in cui l’audio di un video che inquadra lo stesso tratto di costa dipinto dal pittore attiva un pianoforte che riproduce con le proprie limitazioni tecniche l’audio stesso; Flutter (2018/2025): un sistema composito, in cui l’elemento poetico di un acquario, abitato da graziosi pesciolini, insieme con bobine di rame, catene, cucchiai e aghi da bussola fornisce impulsi a un armonium che li trasmuta in note; Moré Moré (Leaky): Variations (Flow>1, Flow>2, Flow>3) (2018), installazioni ispirate agli ingegnosi sistemi della metropolitana di Tokyo per fronteggiare perdite d’acqua, così l’artista con utensili da cucina, guanti, mollette, cembali realizza sistemi che sono sculture cinetiche in cui l’acqua fluisce. Infine I/O (2011-in corso): rotoli di carta raccolgono in lenta oscillazione polveri e piccoli detriti, le cui tracce scansionate fungono da input meccanici, sonori e visivi che muovono piumini per spolverare, lampadine e persiane. Cosa hanno in comune queste opere? Concettualmente l’idea che elementi eterogenei e minimi possano costituire momenti di frizione con lo status quo e innescarne un cambiamento. Formalmente l’impiego di oggetti diversi, semplici, senza pretese, “poveri”. Gli ambienti audiovisuali creati dalla Mohri, realizzati quasi con ciò che ha sottomano, hanno un peculiarità: la capacità di concretizzare l’esperienza dello spazio nel tempo. Ciò che quotidianamente accade e che spesso sfugge alla coscienza, qui accade artisticamente. Non è la piacevolezza estetica a dovere essere cercata, ma l’esperienza di questi ambienti costruiti come se ogni loro componente fosse di vitale importanza, quando – forse – non è così ed è solo un momento giocoso in cui, tuttavia, nell’agonizzare dei piumini sul pavimento o nel volo sempre frustrato di una farfalla finta la severità della vita reclama il suo posto.
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