IL CASO
Accusato di uxoricidio in Pakistan, libero in Italia
No della Corte d’Appello di Milano all’estradizione di un 37enne pakistano: rischierebbe la pena di morte. E lui si difende
Resta in Italia, da cittadino libero, un 37enne pakistano residente nel Legnanese nei confronti del quale il Pakistan aveva presentato richiesta di estradizione per poterlo processare. Gravissima l’accusa: aver ucciso la moglie nel giugno del 2019. Accusa respinta con decisione dall’uomo, 37 anni, richiedente asilo con protezione internazionale, che i carabinieri della Compagnia di Legnano avevano fermato l’8 aprile scorso sulla scorta del mandato di arresto per omicidio emesso dalle autorità della Repubblica islamica del Pakistan.
Domanda respinta
L’altro giorno, la quinta Corte d’Appello di Milano, accogliendo i motivi proposti sia dal difensore del pakistano, l’avvocato Enrico Milani, sia dal sostituto procuratore generale Maria Saracino, ha respinto la domanda di estradizione. I giudici si sono rifatti a norme e a una giurisprudenza consolidata in materia: in estrema sintesi, non è possibile consentire l’estradizione quando il fatto per il quale è stata domandata può essere punito con la pena di morte. Per altro, è stato fatto notare che il ministero della Giustizia italiano aveva richiesto informazioni all’Autorità pakistana affinché desse garanzie assolute dell’inapplicabilità della pena di morte in caso di estradizione, ma la richiesta è caduta nel vuoto.
In altre parole, in Pakistan c’è troppo potere discrezionale rispetto all’applicazione o meno della pena di morte e questa discrezionalità è tutta nelle mani dell’autorità giudiziaria del Paese islamico. A questo proposito, la legge pakistana prevede che il reato di omicidio è punito con la pena fino a 25 anni di reclusione, ma solo nel caso in cui non è applicabile, secondo le prescrizioni dell’Islam, la pena del “qisas”, vale a dire la legge del taglione che punirebbe la morte non la morte.
In assenza dei presupposti per l’estradizione, dunque non essendoci certezza che anche in caso di condanna sarebbe stata esclusa la pena di morte, la Corte d’Appello ha optato per respingere la richiesta di Islamabad e negare l’estradizione. In Italia da quasi tre anni, ai carabinieri il pakistano ha fornito la propria versione dell’omicidio della moglie. Nel professarsi innocente, ha puntato l’indice contro i familiari della consorte.
I sospetti sui famigliari
Secondo la sua ricostruzione, l’avrebbero uccisa perché i due coniugi si sarebbero sposati contro la volontà della famiglia di lei, appartenente a una casta superiore a quella del trentasettenne. Infranta la regola in base alla quale ci si deve sposare all’interno della stessa casta, i parenti della donna si sarebbero vendicati, uccidendola. Infine, il richiedente asilo ha raccontato di essere per certi versi un sopravvissuto. Se si fosse trovato assieme alla moglie nel momento del suo omicidio, i parenti della donna avrebbero sicuramente ammazzato anche lui.
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