TENTATO OMICIDIO
Casale Litta, Lanni: «Ho perso una famiglia»
Nell’interrogatorio le parole sul legame con 4Exodus
«Ho perso la famiglia in comunità». Nel corso dell’interrogatorio reso davanti al gip Rossana Mongiardo - il giudice delle indagini preliminari che ne ha confermato il fermo e ha disposto al contempo la custodia in carcere per l’accoltellatore di piazza Gae Aulenti a Milano - Vincenzo Lanni ha espresso a più riprese il proprio rammarico per aver perso la sua “famiglia” della comunità 4Exodus a Villadosia di Casale Litta. «Non ho avuto una famiglia prima. Là in comunità l’ho trovata», ha dichiarato. Di più, l’ex informatico della Val Seriana, 59 anni, stava molto bene soprattutto con le educatrici. «Dal punto di vista affettivo erano loro la mia famiglia. Ho sempre fatto una vita molto chiusa e aver trovato una famiglia così per me era fondamentale».
Una vita difficile
Famiglia è un termine ricorrente nelle parole dell’uomo, ora recluso a San Vittore, che era arrivato nel Varesotto più o meno all’epoca del Covid per eseguire la misura di sicurezza di tre anni in una struttura psichiatrica emessa dallo stesso giudice del Tribunale di Bergamo che lo aveva condannato in abbreviato a otto anni per due tentativi di aggressioni fotocopia rispetto a quello di Milano (due pensionati colpiti a caso con un coltello da cucina in Val Seriana nell’agosto di 10 anni fa). «Ormai ho la vita rovinata. Sono passato dalla prospettiva di avere un futuro ad avere niente», rimuginava Lanni rispondendo alle domande del gip. Per poi ribadire che quello che «mi manca sono le educatrici e la comunità e il rapporto umano». Ecco il rapporto umano è un’altra costante dell’uomo che lunedì di primo mattino ha pugnalato alla schiena Anna Laura Valsecchi, la dipendente di Finlombarda scelta a caso, facendola finire in gravi condizioni in ospedale. Alla sorella gemella dice di volere bene, ma avrebbe dovuto avere un comportamento diverso nei suoi confronti: «Doveva essere più disponibile. Soprattutto di cuore. Mi ha sempre portato oggetti e soldi, ma io voglio affetto». «Ho fatto tutta la carovana con Exodus (il progetto educativo itinerante della Fondazione di don Mazzi che consiste nel percorrere centinaia di chilometri per sensibilizzare sulla fragilità giovanile e le nuove dipendenze, ndr) ed è stata un’esperienza bellissima», ha poi ricordato Lanni. «Avrei voluto fare un’altra esperienza di questo tipo così da toccare tutte le comunità e dedicarmi agli altri».
Visione distorta
Nel corso dell’interrogatorio, l’ex operatore informatico è ritornato anche sui motivi del suo allontanamento dalla comunità di Casale Litta. A suo dire, un ospite che lo stava provocando da una ventina di giorni: «Gli chiedevo di lasciarmi stare. Quella mattina mi ha fatto arrabbiare e allora gli ho detto: “Fatti la tua vita”. Eravamo tutti a colazione e sono stato veramente provocato in maniera evidente. Poi non ci ho visto più e gli ho dato due sberle. A me dispiace moltissimo per la signora che ho colpito e spero stia bene, ma vorrei distinguere le due cose: uno schiaffo non è una coltellata. Secondo il regolamento, non potevo più stare in comunità dopo gli schiaffi, ma credo che in comunità abbiano notato le provocazioni che ho subito. Ho detto che non sapevo dove andare e che non ho famiglia, ma niente. Ho chiamato Marco, il capo, dicendogli che ho dei progetti. Ci speravo che nonostante il mio errore mi dessero un’altra possibilità». Fino a quel momento, Lanni non aveva mai avuto problematiche di sorta con il personale in servizio nella struttura varesina né tantomeno con gli altri ospiti, dimostrandosi li più delle volte disponibile e collaborativo nelle mansioni affidategli. Invece niente. Dopo l’espulsione da Villadosia e la fine della vita nella sua “nuova famiglia” - parole sue - «sono saltate tutte le cose».
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