Italia-Israele, perché ancora a Udine?

Martedì 14 ottobre è uno dei giorni più temuti della storia del calcio italiano. È in programma infatti Italia-Israele, partita fondamentale per le speranze degli azzurri di qualificarsi ai prossimi Mondiali ma, soprattutto, gara ammantata di mille significati in relazione al contesto storico attuale. Nelle scorse settimane, un po' da tutti i fronti coinvolti sono arrivate più o meno esplicite richieste di annullare la partita o, quantomeno, rinviarla in attesa di tempi più pacifici ma le istituzioni sportive, Federcalcio in testa, hanno posto il veto con motivazioni grondanti di retorica, la più gettonata delle quali è: «Lo sport deve unire, non dividere». A pronunciarla, fra gli altri, non poteva che essere il presidente della Figc, Gabriele Gravina che ha la responsabilità dell'evento, almeno sul piano sportivo, e che quindi vuole evitare a tutti i costi di collezionare l'ennesima brutta figura di fronte ai grandi capi del football mondiale. La realtà, come sempre, è quella che tutti conoscono, ovvero che fra interessi economici e diritti televisivi connessi, nessun evento può permettersi di essere messo in discussione, qualunque cosa accada o qualunque rischio incomba. Il governo italiano e i ministeri coinvolti nella questione stanno facendo di tutto perché non accada niente di sconveniente e addirittura si è vociferato della presenza di agenti del Mossad per monitorare la situazione: si temono manifestazioni pro Palestina ma anche da parte di gruppi politici di ispirazione neofascista che rischiano di trasformare la gara un inno all'antisemitismo. Tutto in fondo molto prevedibile considerando il momento ma quello che lascia francamente basiti è la scelta della sede della partita, ovvero Udine. Esattamente 365 giorni prima del match in questione, il 14 ottobre 2024, si è disputata una sfida valida per i gironi di Nations League proprio nella città friulana e anche quella partita era stata preceduta da pesanti polemiche. No, non per la questione Gaza, che fino a 12 mesi fa era ancora nell'oblio imposto dal silenzio dell'informazione mainstream del nostro paese, ma per un precedente, un altro, che rendeva particolarmente rischiosa la scelta di Udine per la disputa di quel match. Nell'estate del 1989 infatti, l'Udinese annunciò l'acquisto di uno dei più forti attaccanti del campionato belga, l'israeliano Ronny Rosenthal. Quando si sparse la notizia, la città friulana venne disseminata di scritte sui muri contornate da svastiche che invitavano la società a non tesserare un giocatore ebreo. E puntualmente fu proprio quello che accadde: le visite mediche evidenziarono un problema vertebrale per il giocatore e il club rescisse unilateralmente il contratto con Rosenthal. Il quale era così infortunato da finire quella stessa estate al Liverpool divenendone il trascinatore a suon di gol verso la vittoria del campionato inglese. E, per tutelarsi, fece anche causa all'Udinese ottenendo un risarcimento per l'immotivata interruzione del contratto. La partita di un anno fa venne giocata regolarmente, seppur in una città blindata e quella di martedì vedrà lo stadio “Friuli” desolatamente vuoto. La domanda a questo punto è: considerato il precedente, perché è stata nuovamente scelta una città così a rischio sul tema? Proprio non c'era nessun'altra sede possibile in tutta Italia?
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