VERSO IL 25 NOVEMBRE
«Prima di fare la spesa chiedono il permesso»
Mai più violenza sulle donne: tre pagine sulla Prealpina
C’è un momento, nella voce delle donne che arrivano al centro antiviolenza, in cui la paura si intreccia con una forza che nemmeno loro sanno di avere. È l’istante esatto in cui decidono di entrare, sedersi e raccontare. A Varese questo accade ogni giorno dietro la porta di Eos, il Centro ascolto donna di via Robbioni, dove quest’anno, tra gennaio e novembre 2025, si sono presentate 193 donne, delle quali 115 per la prima volta. Un flusso costante fatto di storie, età diverse e provenienze differenti: il 65% italiane, il 24,7% extra Ue e un quadro anagrafico che spazia dai 18 ai 67 anni. Qui la violenza non è mai un dato, ma un insieme complesso di segnali e forme, tra cui quella economica, che emerge con forza: riguarda 114 donne, il 59% di chi si è rivolta al centro. «La maggior parte di loro ha una scolarità medio-alta e spesso un lavoro stabile, ma questo non basta», spiega la coordinatrice Barbara Brighenti: «Anche quando hai un tempo indeterminato, se lui decide come spendere il tuo stipendio, se ti chiede di lasciare il lavoro promettendo che si occuperà lui di tutto, non sei libera».
Tutto lo stipendio al marito
Il quadro occupazionale delle donne accolte lo conferma: 62 hanno un impiego a tempo indeterminato, ma 50 sono disoccupate e molte altre lavorano in condizioni fragili. Le professioni sono varie: 38 operaie, 35 impiegate, 23 colf o badanti, 20 casalinghe, 17 studentesse, 13 tra infermiere, Asa e Oss. Non mancano nemmeno professioniste o dirigenti. Una fotografia reale della provincia, che racconta quanto la violenza tagli trasversalmente ogni categoria. Accanto ai numeri, però, ci sono le voci. «Sentiamo di continuo testimonianze di donne che non possono fare la spesa senza chiedere il permesso», racconta Brighenti, «che devono consegnare tutto il salario al marito o che si ritrovano indebitate perché hanno firmato per lui». Nei dati compaiono anche violenze fisiche (49%), psicologiche (88%), episodi di stalking, molestie e 57 casi di violenza sessuale. Le denunce sono state 77 e le archiviate 18. Centrale la problematica lavorativa, soprattutto dopo che la donna ha chiesto aiuto ed è uscita dalla propria abitazione. «Per questo Eos ha creato uno sportello lavoro che accompagna nella rimessa a punto dei curriculum, nell’orientamento e nella ricerca di annunci», specifica la coordinatrice: «Un lavoro che si affianca al sostegno psicologico, ai colloqui di accoglienza e alla consulenza legale» (della parte occupazionale e motivazionale si occupano, in particolare, Susanna Vanoni e Katia Cicciomessere).
«È normale la sua gelosia?»
Parte decisiva è anche il gruppo di auto-mutuo aiuto, spazio in cui le donne condividono vissuti, paure e piccole conquiste, scoprendo che la solitudine è spesso una trappola costruita nel tempo dal partner maltrattante. A coordinare l’associazione c’è la presidente Marzia Giovannini, presenza stabile in un’organizzazione che oggi conta dodici volontarie formate per l’accoglienza. Eos, però, non è solo protezione, perché è anche presidio culturale e politico. Entra nelle scuole, incontra ragazze e ragazzi, intercetta i primi segnali di relazioni sbilanciate. «Capita che le ragazze ci chiedano: la gelosia del mio fidanzato è normale o è un campanello d’allarme?», racconta Brighenti, «e da lì parte un lavoro lungo, che prova a modificare la cultura, a costruire consapevolezza, a insegnare che il rispetto non deve mai essere negoziato. È un percorso che continua nel tempo: molte donne tornano, salutano, abbracciano. Perché la violenza si può interrompere e la libertà può davvero ricominciare».
Tre pagine speciali sulla Prealpina in edicola domenica 23 novembre disponibile anche in edizione digitale
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