L’ESCURSIONE
Dosso del Liro, lassù dove osano le aquile
Ci si trova nella parte settentrionale del Lario, sopra Gravedona. Un borgo abbarbicato dalla parte opposta al monte Legnone
C’è un ramo del lago di Como che volge a... mezzanotte ed è lontano dal turismo di massa. È elegantemente selvaggio, autentico, custode di un passato che, chissà se mai tornerà. Si trova nella parte settentrionale del Lario, sopra Gravedona, precisamente a Dosso del Liro, un borgo abbarbicato sulle montagne dalla parte opposta al Monte Legnone.
Sono luoghi poco frequentati dove, durante un’escursione infrasettimanale, può capitare di non incontrare nessuno per ore, salvo caprette, tracce di lupo e, se si è fortunati, un’aquila reale. Come nell’escursione che porta al Dosso Bello, una sorta di anticima della Cima degli Orsi. Innanzitutto, sfiorando i 2.000 metri, in questo periodo si consiglia di valutare le condizioni meteo, evitando assolutamente la camminata in caso di neve a basse quote e, in ogni caso, portando con sé, come minimo dei ramponcini, per affrontare qualche metro di ghiaccio che potrebbe formarsi nei versanti meno esposti al sole. Inoltre si consiglia di portare con sé una traccia gps: non esistono cartelli o segnalazioni del sentiero che, seppure sia molto facile da intuire, in molte parti non è praticamente presente. Nel caso, però, di un novembre e un dicembre caldo, si tratta di una meta perfetta per le giornate terse che avvengono in questo periodo.
Per raggiungere il punto di partenza, si deve superare Dosso del Liro, raggiungere il Pian delle Castagne e proseguire ancora un chilometro su una strada “non collaudata”, ma dove si transita senza problemi, per lasciare l’auto in uno slargo prima di un ruscelletto. A questo punto (970 m di altitudine) si segue ancora per qualche minuto la stradina fino al gruppo di case di Prennaro. Qui inizia la magia: la frazioncina di montagna è “custodita” da un gruppo di gatti che amano spaparanzarsi al sole, godendosi il panorama. Il monte Legnone svetta imponente sull’altra riva del Lario, a sinistra si apre la Valtellina, mentre sotto i nostri piedi Gravedona sembra tuffarsi nel lago di Como. Dai boschi di latifoglie, in questo periodo colorati di giallo e arancio, sbucano invece i borghi di Livo e Peglio mentre, alzando lo sguardo dall’altra parte, spunta la dorsale che si dovrà prendere per arrivare alla meta. Sembra ripidissima. E, così sarà. Un assaggio si ha quasi subito, col sentiero che si impenna immediatamente fino a Sortaiolo e sfiorando la vetta del Motto di Piaghedo. A questo punto si piega a destra e si tira un po’ il fiato, ammirando un altro gruppetto di case (1.300 m): alcune abbandonate, altre ancora ben tenute con le loro pietre disposte perfettamente come un Tetris, costruendo pareti e tetti. Qui parte la lunga dorsale da seguire per arrivare in cima, puntando dritto per dritto fino al Monte Piaghedo e poi verso Cimetta dell’Acqua (1.689 m). Per raggiungere questo dentino, si cammina tra paglioni e felci, cercando di intuire dove passa il sentiero, passando dove l’erba è stata calpestata da qualcun altro. Dalla vetta intermedia si perde quota, prestando attenzione lungo una traccia stretta per recuperare le forze in vista del drizzone finale. Gli ultimi 350 metri di dislivello si svolgono infatti in circa 800 metri di lunghezza. Insomma, si sale ripidamente, sempre tra paglioni dove ci si deve inventare il sentiero, ma senza particolari difficoltà o pericoli. Il panorama, in cima, è grandioso: le vette circostanti sono già parzialmente innevate, il sole d’autunno, dal primo pomeriggio permette di vivere un lungo tramonto, in cui i colori caldi di questa stagione, se possibile, si infuocano ancora di più, danzando col verde dei pascoli e il blu del lago. Laggiù, lo sguardo si apre fino a Bellagio, mentre guardando in alto, è possibile che in cielo volteggi, come capitato a noi, un’aquila reale. Per la discesa si segue la strada dell’andata anche se, prima di Cimetta dell’Acqua, si può aggirare il versante seguendo una traccia poco visibile e poi un sentiero molto più comodo e visibile rispetto alla dorsale percorsa per salire. Nel frattempo, passo dopo passo, il pensiero corre a quanto si è fortunati a vivere certi luoghi come, appunto, il Dosso Bello.
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