IL CONCERTO
I Nomadi a Varese, ritorno alle origini
La band porta il suo tour al Teatro Intred. In platea c’è anche chi ha fatto centinaia di chilometri
Sul palco cadono le foglie, si agitano le marionette, passano i paesaggi sotto una coltre di nebbia. Siamo fermi, seduti al teatro Intred di Varese, ma quella che scorre è la vita. E con le prime note, inizia il viaggio. Il popolo «dei nomadi», quelli che non si fermano nel presente ma spaziano in sogni e ricordi, accompagna le canzoni con un battito di mani. Più spesso con i pensieri. È sold out venerdì sera – 21 novembre – il concerto dei Nomadi. Un tour che arriva a pochi mesi dal nuovo album, “Nomadi Live al Teatro Dal Verme”. Un momento che ha il sapore di un ritorno alle origini, un tributo alla dimensione che da sempre rappresenta l’anima della band che della musica dal vivo ha fatto la sua essenza, sempre sostenuta dalla capacità di trasmettere energia, emozione e verità. Tra il pubblico, c’è chi li ha sentiti l’ultima volta da bambino, con i genitori. Chi arriva da lontano, perché non si perde una tappa del tour. «Noi viviamo a pane e Nomadi», scherza una fan seduta in prima fila, con la felpa griffata Nomadi. Ci sono gli irriducibili di Marostica e non si perdono una data, «cerco la loro semplicità».
Yuri Cilloni apre la serata “Per fare un uomo”. Saluta il pubblico poche parole, ma sentite: «Buona sera a tutti, grazie per essere qui». Poi “Bianchi e neri” del 1985. “I tre miti” del 2004, dal sapore di nostalgia. Poi “Riverisco parte 1”, «riverisco lor signori sono il pagliaccio della corte». Perché li si ama? Forse perché siamo tutti alla ricerca de “Il paese”, quello dove si è nati. Perché nell’immaginario di tutti ci sono le “sere bolognesi”, quelle dove c’è un tavolino libero, si appannano gli occhiali. Sicuramente perché sono veri, perché portano in scena un tempo altro, fatto di sentimenti, di cose vere, un tempo scivolato via, inghiottito dalla frenesia del presente. E poi, neanche a dirlo, per la musica. Non solo i classici strumenti. C’è il banjo, i violini, le fisarmoniche. Il pubblico viaggia a cavallo delle note, inseguendo voci e ricordi di vita. A riportare l’attenzione sull’attualità è “L’angelo caduto”, una canzone incisa 20 anni fa, altrimenti l’atmosfera è onirica. È la semplicità, ma è soprattutto la capacità di toccare il cuore, il segreto della band più longeva d’Italia, partita oltre sessant’anni fa con Augusto Daolio e Beppe Carletti, tastierista, quest’ultimo ancora pilastro della formazione. Lasciateci “Qui” a teatro. Perché qui c’è un tetto di stelle. E un oceano di pelle. E un deserto di voci. E un tepore di baci. Perché qui, è passato l’amore.
Il servizio completo sulla Prealpina di sabato 22 novembre in edicola e disponibile anche in edizione digitale.
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