DELITTO MACCHI
«Risarcite un innocente»
Binda e l’ingiusta detenzione: terzo atto in Appello
Se non è record, poco ci manca. La richiesta di Stefano Binda, portata avanti dall’avvocato Patrizia Esposito e finalizzata ad ottenere la riparazione per i suoi 1.286 giorni di ingiusta detenzione, è di nuovo sul tavolo dei giudici della quinta Corte d’Appello di Milano. Per la terza volta nel giro di tre anni e mezzo, la Corte ambrosiana specializzata in materia sarà chiamata a pronunciarsi nel merito rispetto all’istanza del brebbiese, 58 anni. L’istanza poggia su una sentenza emessa dalla Corte di Cassazione di quattro anni fa che lo ha assolto in via definitiva dall’accusa di aver ucciso Lidia Macchi. Accusa che, a trent’anni di distanza dall’efferato omicidio della studentessa di Casbeno, gli costò l’arresto e la successiva, lunga detenzione trascorsa, con estrema dignità, tra i Miogni, San Vittore e Busto Arsizio. Ora c’è una data per la nuova tappa della sua personalissima Via Crucis: l’udienza è stata fissata per il prossimo 25 febbraio.
«HA INDOTTO IL GIP ALL’ERRORE»
Nei due precedenti passaggi, la Corte d’Appello di Milano ha sempre dato ragione a Binda: nel primo caso, gli è stato riconosciuto l’indennizzo massimo (leggi: 303.000 euro); nel secondo, l’indennizzo è stato ridotto a 212mila euro. In entrambi I casi, però, a fronte dell’ordinanza favorevole a Binda, sia la Procura Generale sia l’Avvocatura Generale hanno eretto le barricate chiedendone l’annullamento. Cosa che hanno sempre ottenuto. Nell’annullare l’indennizzo l’ultima volta, la Suprema Corte ha sostenuto che con la sua condotta Binda avrebbe concorso «con colpa lieve» a indurre l’allora gip del Tribunale di Varese Anna Giorgetti all’errore di disporne l’arresto.
LE PAGINE STRAPPATE
Secondo gli Ermellini, la Corte d’Appello avrebbe omesso di considerare alcuni comportamenti colposi posti in essere da Binda. Per esempio, l’assenza di spiegazione sulle pagine strappate dalle sue agende del giorno dell’omicidio di Lidia e del rinvenimento del suo cadavere; nonché le spiegazioni confuse e scarsamente comprensibili sul significato di un appunto (“Caro Stefano, sei fregato! Dovrebbero strapparti gli occhi o strapparteli con le tue mani per quello che hai visto... e l’hai visto tu”), con a fianco la foto di Lidia Macchi ritagliata da un giornale. Elementi «di pregnanza particolare» e «dotati di chiara e univoca portata indiziante che non sono stati presi in considerazione dalla Corte d’Appello».
«VITTIMA DI UN SISTEMA»
Resta l’amarezza di Binda: «Mi sono fatto tre anni e mezzo da innocente. Sono vittima di un sistema», ha detto al nostro giornale a settembre. «Dato che le mie richieste sono ancora oggetto dei giudici italiani, non posso nemmeno ricorrere alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Peccato, perché a Strasburgo mi darebbero ragione: hai tolto la libertà a un innocente? Devi risarcirlo. Stop. No, qui in Italia prevalgono i bizantinismi, i distinguo, le colpe lievi, i rimbalzi tra la Corte d’Appello e la Cassazione».
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