LA SENTENZA
«Fece sesso con il cuginetto»: condannato a quattro anni
Alla parte civile andrà un risarcimento simbolico: due euro
Non solo l’avvocato difensore, ma anche il pm aveva chiesto l’assoluzione del trentenne accusato di violenza sessuale ai danni del cugino di cinque anni più giovane. Ma il Tribunale ha scelto un’altra linea, assolvendolo per gli episodi più recenti, quelli avvenuti quando la persona offesa aveva più di 14 anni e quindi poteva esprimere il consenso, ma punendolo per i fatti successi prima di quella soglia. Risultato? Il giovane è stato condannato a 4 anni di reclusione per il reato di atti sessuali con minorenne. Dovrà risarcire il cugino con la somma simbolica di due euro, come chiesto dalla parte civile.
La soglia del consenso
La vicenda venne alla luce nel 2021, quando il 25enne si confidò con un’amica che gli consigliò di denunciare e rivolgersi a uno psicologo. Raccontò di essere stato vittima per anni del cugino che gli imponeva atti sessuali approfittando delle sue condizioni di inferiorità psichica. Abusi che sarebbero avvenuti, in un paese della provincia, nelle occasioni in cui i due ragazzi restavano soli. E che sarebbero iniziati quando la vittima aveva nove anni e proseguiti fino alla maggiore età. Proprio la questione dell’età, e quindi del consenso, è stata decisiva per la sentenza. Secondo i giudici, gli episodi risalenti all’epoca in cui la vittima aveva 13 anni vanno riqualificati come “atti sessuali con minorenne”, per i quali l’imputato è stato riconosciuto colpevole perché sotto i 14 anni la parte offesa non può esprimere il consenso. Quel consenso che invece avrebbe prestato nel lustro successivo, per il quale quindi “il fatto non sussiste”: da qui l’assoluzione dall’accusa di violenza sessuale, che il trentenne ha sempre respinto. Con la condanna è stata disposta anche l’interdizione per cinque anni dai pubblici uffici, e da quelli di tutela e curatela; inoltre, per un anno non potrà avvicinarsi a luoghi frequentati da minori, né lavorare con i bambini. Per i fatti relativi a quando l’imputato non aveva ancora 18 anni, poi, procederà il Tribunale per i minorenni.
Lo scontro sulla credibilità
Il collegio ha ritenuto credibile il racconto del 25enne, sulla cui inattendibilità avevano puntato - al termine del processo con rito abbreviato - tanto il pm Luca Petrucci (che aveva parlato di «narrazione poco verosimile dei fatti, dei quali non è stata raggiunta la prova»), quanto il difensore, Paolo Bossi: «Non c’è traccia degli abusi sessuali denunciati, in cui peraltro, altra singolarità di questo processo, la vittima avrebbe avuto un ruolo attivo, mentre sarebbe stato l’imputato a subirli». La difesa aveva evidenziato anche le conclusioni della perizia di una psicologa, disposta dal Tribunale, secondo la quale la persona offesa soffre della “sindrome del falso ricordo” e non ha la capacità di testimoniare. Di tutt’altro avviso l’avvocato Andrea Prestinoni, legale di parte civile, che ha contestato le conclusioni del perito: «Siamo di fronte a un ragazzo fragile, ma che non soffre di alcuna patologia psichiatrica».
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