STRAGE DI SAN VALENTINO
Chi ha sparato? Nessuno

Chicago, 14 febbraio 1929. Intorno alle 10 e 30 il gangster George “Bugs” Moran uscì per dirigersi verso l’Heyer’s Garage in North Clark Steeet 2122.
L’America viveva l’era del proibizionismo e Moran, a corto di whisky, era in difficoltà. Ma la sera prima gli avevano proposto un carico di “cartoni” provenienti dal Michigan, e aveva subito accettato. I suoi luogotenenti erano già al garage. “Bugs”, invece, non trovò un taxi e si incamminò. Appena svoltò in Clark Street vide una macchina della polizia. Pensò a una trappola, e si infilò in un bar di fronte.
Due uomini in divisa scesero dall’auto e si infilarono nel garage mentre un camion con altri uomini si piazzò in retromarcia sulla rampa. Dieci minuti dopo uscirono tutti e ripartirono. “Bugs” si incamminò, ma vide un uomo sbucare dal garage gesticolando disperato: «Un macello!», urlava.
In pochi minuti la strada si riempì di volanti del 36° distretto. Nel garage trovarono i corpi di sei uomini – tutti della banda di Moran – come fucilati alle spalle da un plotone di esecuzione. I colpi, almeno settanta, anche al viso. Un massacro. Uno, Frank Gusemberg, sopravvisse per qualche minuto, con 15 pallottole in corpo. Un poliziotto gli chiese chi avesse sparato ma, sarcastico, rispose: “nessuno”. O almeno così si raccontò poi.
Le indagini conclusero che falsi agenti travestiti avevano finto di arrestare i gangster, li avevano messi in fila e freddati. Ma il mandante? Per molti, poteva essere solo Al Capone. Ma “Scarface” aveva un alibi perfetto: si trovava in Florida, convocato dal giudice Peter Taylor per certe questioni di evasione fiscale.
Alphonse Capone era nato a Brooklyn nel 1899 da genitori salernitani. Abbandonata la scuola e cresciuto in strada, imparò prestò a usare la pistola. Poi trovò lavoro come buttafuori in un bordello. Qui una sera litigò con il malavitoso Frankie Gallucci, forse per un apprezzamento troppo audace nei confronti della sorella, o per il “possesso” di una prostituta. Comunque, Gallucci aveva estratto un coltello: lo sfregio, lungo 18 centimetri, andava dal lobo alla mandibola destra. Era nato “Scarface”.
Nel 1919 Al si trasferì a Chicago con il suo mentore Johnny “il terribile” Torrio che, dopo un attentato, si “ritirò” a Brooklyn. In breve Capone, fedele all’insegnamento del maestro – “si ottiene di più se mentre pronunci una parola gentile, in mano impugni una pistola” – riuscì a mettere Chicago ai suoi piedi. Nel 1925 tra bische, contrabbando di alcolici, piste per le corse dei cavalli, e soprattutto il racket, il suo patrimonio era stimato oltre 100 milioni di dollari.
Soprattutto, si era sbarazzato di tutte le bande rivali, i Weiss, gli O’Banion, i Genna. Mancavano solo gli irlandesi di Moran. Certo, Capone non era un uomo riservato, anzi. Risiedeva all’Hotel Lexington, o meglio aveva occupato l’appartamento presidenziale e tutto il quarto piano, aveva un cuoco personale e le sue guardie del corpo dormivano su brande poste di traverso alla porta della sua camera.
A fine anni Venti era una celebrità. Frequentava lo stadio del baseball, dava feste sontuose nei migliori alberghi, si faceva intervistare: «Sono soltanto un uomo d’affari che dà alla gente quello che vuole», dichiarava sorridente. Ma la passione per la notorietà fu la causa del suo crollo. Dopo la strage, la città piombò nel terrore e Capone era troppo visibile: il suo atteggiamento imbarazzava e irrideva il governo, impegnato a far rispettare il proibizionismo.
Così, una squadra di revisori dei conti scovò documenti che lo incastravano per un’evasione fiscale di 1.038.654 dollari. Una montagna di soldi.
Condannato, Capone finì prima ad Alcatraz e poi in altri carceri federali durissimi. Fu rilasciato nel 1939: pur avendo solo 40 anni sembrava un vecchio invalido, e morì nel 1947 in Florida.
Le indagini, ovviamente, non portarono a nulla: sicari e mandante non furono mai trovati. Ma dopo la strage “Bugs” Moran aveva già capito tutto: «solo Al Capone uccide in quel modo», aveva detto, prima di abbandonare Chicago.
© Riproduzione Riservata