GLI ARTISTI
Il Tintoretto dialoga con l’arte contemporanea
La Deposizione di Cristo è l’opera scelta dal Museo Diocesano. Il confronto è con le opere di Benassi, Bertolo, Gianfreda, Novello

È un compianto straziante, teatrale e drammatico, l’opera scelta per la Quaresima e la Pasqua di quest’anno giubilare dal museo Diocesano di Milano. Nonostante il titolo convenzionale con cui è nota, Deposizione di Cristo dalla croce, la monumentale tela (quattro metri per tre) del pittore veneziano Jacopo Tintoretto (1519-1594) non racconta il momento in cui, tolti i chiodi da mani e piedi di Cristo, Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo lo calano dalla croce, ma il tempo appena successivo, quello in cui i dolenti piangono sul suo corpo esanime. Tintoretto lo fa fermando per un istante brevissimo lo svolgimento dei fatti e presentandoci le figure in una scala monumentale, più grandi del vero e attraverso una visione fortemente ravvicinata, in una «sorta di close up cinematografico», dice Nadia Righi, direttrice del Museo Diocesano e curatrice della mostra insieme a Giulio Manieri Elia, direttore delle Gallerie dell’Accademia di Venezia, in cui l’opera è conservata. Realizzata intorno al 1560-1562, destinata a Santa Maria dell’Umiltà alle Zattere, prima chiesa gesuita a Venezia, soppressa nel 1806 e successivamente demolita, l’opera di Tintoretto esprime la piena maturità pittorica dell’artista, «il più terribile cervello che abbia avuto mai la pittura», secondo Vasari, che intendeva così sottolineare «la stravaganza ma anche l’incredibile creatività e la straordinaria capacità di trascinare chiunque in una narrazione articolata con una teatralità senza pari», spiega ancora Righi. «Il suo pennello amplifica drammi ed emozioni, con esiti che sollecitano ciascuno a entrare in rapporto con quanto dipinge». La potenza drammatica dell’opera e il forte coinvolgimento emotivo derivano dalla composizione, dalle pennellate dense e dall’uso di violenti contrasti chiaroscurali. I personaggi sono sviluppati lungo due linee diagonali che divergono al momento dello svenimento di Maria, che con una mano sorreggeva i piedi di Cristo. Si crea così uno spazio vuoto al centro, colmato dalla Maddalena, che, scrive Manieri Elia, «quasi planando, irrompe a braccia aperte, allusive alla croce, e proietta con esse una densa ombra nera sul volto di Cristo». Un’ombra che evidenzia però la corona di luce dietro il suo capo esanime, segno e anticipazione della luce della Resurrezione. Come suggerito dal titolo della mostra, attorno a Tintoretto sono esposte le opere di Luca Bertolo, Alberto Gianfreda, Maria Elisabetta Novello, realizzate per l’occasione a partire dalle suggestioni che il dipinto ha innescato negli artisti, a cui si è aggiunta un’opera di Jacopo Benassi del 2022 per scelta del curatore Giuseppe Frangi, Presidente dell’Associazione Giovanni Testori. «I lavori degli artisti che hanno accolto l’invito a mettersi “attorno” alla Deposizione di Tintoretto, - spiega Frangi - testimoniano l’attualità di quel capolavoro. Al cuore di questa loro prova c’è la relazione con il soggetto rappresentato ma ancor di più con la modalità con cui il maestro veneziano lo reinterpreta. Gli artisti mettendosi “attorno” a Tintoretto si sono misurati con questo misterioso palesarsi di una morte che è per la vita». Così l’opera di Benassi, rievocando la morte della madre, esprime un senso di gratitudine che suggerisce la speranza nella non definitività della morte; Novello costruisce un'installazione di cenere sul pavimento, in cui cita l’ultima strofa di una poesia del poeta friulano Carlo Michelstaedter, «Morte vita, / la morte nella vita. / Vita morte, / la vita nella morte», rendendo visibile, come Tintoretto, la possibilità di vita anche nella morte. Materia comune di Gianfreda è una deposizione di piatti rotti, bianchi come il sudario di Cristo, che diviene però anche mensa, mentre Bertolo confeziona con tele di recupero una sua personalissima Veronica, in cui non è impresso il volto di Gesù, sottolineando lo spalancarsi a un’attesa.
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