IPNOSI
A me gli occhi, please!

Woody Allen interpretando Leonard Zelig sotto ipnosi rispose a chi gli chiese per quale motivo si trasformasse come un camaleonte: «È più facile essere come gli altri, io voglio essere amato».
Abbattendo ogni barriera dell’inconscio nella pellicola Zelig del 1983, il paziente in stato ipnotico spiegò come il suo comportamento patologico ruotasse attorno al bisogno d’amore.
Sempre Woody Allen nel film La maledizione dello scorpione di giada, è il protagonista che viene ipnotizzato da un mago che lo spinge poi a compiere dei furti.
Sono due degli esempi che rappresentano l’immaginario collettivo della ipnosi, fra magia e cura. Tanto che l’ultima frontiera della medicina consiste nell’uso di questa tecnica in campo chirurgico.
Accostata ai fenomeni di possessione, ai rituali voodoo e sciamanici - con cui in effetti è imparentata-, l’ipnosi è spesso relegata, con diffidenza, tra le “pseudoscienze”. Basti pensare alla frase «A me gli occhi» per collegare la pratica a una dimensione di illusionisti di talento.
Insomma una manovra attuata con artifici misteriosi per manipolare la volontà altrui o un metodo per indagare nell’inconscio. O una tecnica in grado di curare miracolosamente ogni malattia? Ma cos’è l’ipnosi? Non è un modo per perdere il controllo e lasciarsi andare, non è qualcosa che si impone su un paziente passivo, ma che si impara.
Siamo noi a ipnotizzarci, e la storia dell’ipnosi come la conosciamo noi è un enorme equivoco. Lo ha spiegato in più occasioni Enrico Facco, docente di Anestesiologia e Rianimazione all’Università di Padova, specialista in Neurologia, ipnositerapeuta e membro del Gruppo di ricerca sulla Scienza della coscienza. Nata con Franz Mesmer nel XVIII secolo, la storia dell’ipnosi è antichissima e la si trova nella Bibbia quando dalla costola di Adamo addormentato dal Signore creò Eva.
Al netto delle suggestioni, è in realtà una tecnica con basi scientifiche solide e affidabili che si sta affermando sempre più nella pratica medica, e non solo nel campo chirurgico. Grazie all’ipnosi si riescono a mitigare con buoni risultati, i dolori legati al travaglio e i malesseri legati a ansia e depressione. Proviamo l’ipnosi più spesso di quanto non si pensi: quando guardiamo un film o leggiamo un romanzo appassionante, quando ascoltiamo una musica, o ancora quando sogniamo a occhi aperti. Ogni volta che siamo concentrati, assorti, incantati da qualcosa che catalizza la nostra attenzione a un punto tale da ignorare tutto ciò che ci succede intorno e da perdere la concezione del tempo, siamo “ipnotizzati”.
Ci troviamo in uno stato di alterazione delle percezioni e della coscienza: con questa pratica si accede all’inconscio dell’individuo, cioè al “luogo” in cui vengono raccolte le esperienze e le informazioni apprese nel corso della vita e di cui spesso non abbiamo consapevolezza.
Sempre di più l’ipnosi si rivela utile se legata al trattamento delle malattie mentali e comportamentali, ma anche per evitarsi dolori inutili. C’è una unica regola: il soggetto deve essere ben disposto, perché l’ipnosi non è per tutti.
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