DA ASCOLTARE
La Corea fa ballare il mondo

Viene da lontano, ma ha già preso piede in tutto il mondo, conquistando anche i giovanissimi ascoltatori italiani: il K-Pop, ovvero l’abbreviazione di pop coreano (in inglese Korean Pop), conquista i social (Tik Tok in primis), YouTube, le radio e le tv.
Molti pensano che il fenomeno sia recente, ma non è così: si deve infatti andare molto indietro nel tempo per scoprire le antiche origini di quella che è la musica popolare (da qui appunto il “pop”) della Corea del Sud. Addirittura bisogna andare alla fine Ottocento quando venivano fatte delle “cover” di canzoni famose dell’Occidente, riscritte appunto in lingua coreana.
Basti pensare al 1885, quando il missionario americano Henry Appenzeller insegnò nelle scuole coreane le canzoni folk in inglese (americane e britanniche). I brani venivano chiamati dalla popolazione coreana con il termine di “changga” (canzoni) con note musicali rigorosamente occidentali e testi coreani. Una delle più celebri rivisitate in questa chiave fu «Oh My Darling, Clementine», che in Corea del Sud veniva detta «Simcheongga».
Bisogna poi parlare della Guerra di Corea negli anni Cinquanta: finito il conflitto, la società visse una rinnovata economia e sempre più frequenti contatti con il mondo americano, che condizionò anche le canzoni, rendendole decisamente più leggere. All’inizio degli anni Novanta il gruppo più all’avanguardia fu certamente quello dei Seo Taiji and Boys, nato a Seul nel 1992 e scioltosi 4 anni dopo, che misero all’interno dei pezzi delle parti rap, arricchendoli anche con delle coreografie.
Dal 1996 al 2001, per cinque anni spopolarono gli HOT, che contribuirono a creare la figura dell’“idol”, ovvero un personaggio poliedrico, capace di cantare, di ballare e di trasformarsi nel beniamino di un giovane pubblico in delirio. Non solo: sempre negli anni Novanta cominciò a diffondersi a macchia d’olio la “hallyu”, che si può tradurre come “onda coreana”, ovvero la diffusione della cultura sudcoreana all’estero. Una quindicina di anni fa, a metà degli anni Duemila, ci furono altri due nomi capaci di diventare famosi anche in Giappone.
Questo anche grazie all’arrivo dei social network, che contribuì in maniera esponenziale alla diffusione del genere in tutto il mondo. Non a caso, l’anno scorso il K-Pop ha raggiunto un incredibile primato: l’International Federation of the Phonographic Industry ha incoronato questo genere come uno dei sei più venduti nell’intero pianeta. Parlando invece di un altro punto fondamentale del K-Pop, è quello della moda a esso correlata: bisogna citare di nuovo Seo Taiji, leader dell’omonima band di cui sopra, che rivoluzionò anche i canoni estetici degli artisti maschi: se prima l’ideale di virilità coreana corrispondeva al forte uomo di campagna con il viso tondeggiante, da quel momento in avanti cambiò tutto.
L’uomo ideale doveva essere androgino, avere un viso allungato e possibilmente essere alto e magro. Un altro fenomeno correlato al K-pop e legato alla figura dell’idol è quello delle agenzie musicali, che sono cresciute in maniera vertiginosa: sono nate così moltissime case di produzione musicale, compagnie di gestione degli eventi, senza dimenticare chi lavora nel merchandising, altro fiore all’occhiello di questa industria ormai diventata multimilionaria: un settore capace di produrre decine di migliaia di oggetti a tema (t-shirt, portachiavi, accessori tecnologici, miniature) ispirate agli artisti più in voga.
© Riproduzione Riservata