ARTE
Caravaggio, capolavori a confronto a Brera

È arrivato dalla Galleria Borghese di Roma il potentissimo Davide con la testa di Golia di Caravaggio, protagonista del nono Dialogo della Pinacoteca di Brera, nuovo episodio della formula messa a punto nel 2016 dal direttore James Bradburne per far interagire i quadri della Pinacoteca con opere prestate, in qualche modo a loro apparentate. Il dipinto, concesso in prestito in cambio di un’opera di Guido Reni, affianca la grande Cena in Emmaus, a Brera dal 1939, e il confronto tra le due opere è l’occasione – suggerisce Bradburne – «di partecipare al dibattito sull’esatta datazione di due capolavori».
La Cena braidense, caratterizzata da una tavolozza cromatica scura e da una rapida stesura pittorica, che a tratti lascia intravedere la tela sottostante, è datata al 1606 e fu dipinta da Caravaggio per la famiglia Colonna che lo aveva accolto nei propri feudi dopo l’omicidio, a Roma, di Ranuccio Tomassoni. La tela della collezione Borghese è sicuramente del medesimo periodo ma ancora dubbi esistono sulla sue esecuzione a Roma o Napoli.
Se oggi la maggior parte dei critici ritiene che l’opera sia stata eseguita durante il secondo soggiorno di Caravaggio a Napoli, quindi verso la fine del 1609, recenti studi ne anticipano la realizzazione fra la fine del periodo romano e i primi mesi del soggiorno napoletano. I sostenitori della datazione più tarda dell’opera ipotizzano che Caravaggio l’abbia realizzata per donarla a papa Paolo V, tramite il cardinale Scipione Borghese e chiedere il perdono e il ritorno in patria.
David, il giovane eroe di Israele che sconfisse il gigante filisteo Golia, non manifesta lo sguardo fiero della vittoria, ma un’espressione di pietà verso il nemico, nel cui viso Caravaggio avrebbe raffigurato il proprio autoritratto, riferimento alla condanna a morte per decapitazione: il sangue grondante, la bocca spalancata per l’ultimo respiro, lo sguardo sofferente, l’incarnato esanime, manifestano il dramma umano vissuto dall’artista. Anche il motto latino nel colasangue della spada, H AS O S, cioè HumilitAS Occidit Superbiam (da Sant’Agostino, l’umiltà uccide la superbia), è interpretabile come una richiesta di grazia da parte del pittore.
Se invece l’opera fosse stata eseguita nella tenuta dei Colonna nel corso dell’estate del 1606, verrebbe meno il riferimento al perdono, suggerito dalla testa mozzata del gigante, ma si spiegherebbe la vicinanza stilistica col capolavoro di Brera, che con il dialogo – a cura di Letizia Lodi - i visitatori possono valutare direttamente.
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