VIOLENZA INSENSATA
Tentato omicidio in centro: «È stato un malinteso»
Al processo per il pestaggio di un anziano in corso Moro a Varese parla l’imputato: «Ero stato picchiato e temevo un agguato»
Si è difeso sostenendo che non voleva fare del male e di aver agito per paura, con l’intenzione di proteggere se stesso. Kiram Amira, 43 anni, tunisino, è sotto processo con l’accusa di tentato omicidio per il violento pestaggio di un anziano di 67 anni avvenuto all’alba del 30 dicembre scorso in corso Moro, a Varese. Un’aggressione brutale, con calci, pugni e, secondo l’accusa, una bottigliata in testa, che ha lasciato la vittima con un’emorragia cerebrale, fratture ed ematomi vari, il volto sanguinante e irriconoscibile.
LE PAROLE DELL’IMPUTATO
In una delle ultime udienze davanti al Tribunale, l’imputato ha raccontato la sua versione dei fatti, sostenendo che tutto sarebbe nato da un malinteso. Amira ha riferito che era stato vittima, un mese prima, di un’aggressione violenta in casa sua da parte di due stranieri, forse per via della falsa voce che fosse un informatore della polizia. Per questo quando all’alba del 30 dicembre ha visto il 67enne con un cappuccio in testa, prima su un lato di corso Moro e poi sull’altro, ha temuto che fosse uno dei suoi aggressori venuto per colpirlo di nuovo. Ha ammesso di aver sferrato un pugno contro l’anziano e di averlo bloccato con un piede a terra, negando però di averlo preso a calci ripetutamente o di aver usato una bottiglia. «Quando in aula mi sono accorto che era un anziano, mi è dispiaciuto moltissimo», ha dichiarato ancora.
IL RACCONTO DEI TESTIMONI
La vittima, sentita durante un’udienza precedente, non era stata in grado di riconoscere il suo aggressore. «Non mi ricordo nulla. Ho preso una botta in faccia che mi ha stordito, mortacci sua!», aveva raccontato. Tuttavia, l’imputato è stato identificato grazie alla testimonianza di due operatori ecologici che avevano assistito alla scena. Uno di loro, nonostante alcune incongruenze temporali nella ricostruzione, ha riconosciuto Amira, confermando: «Aveva un oggetto in mano, che ha scagliato contro il nonnino, e poi l’ha preso a calci». Determinanti anche le immagini della videosorveglianza che mostrano una persona con scarpe da ginnastica bianche – le stesse sequestrate dalla polizia ad Amira al momento dell’arresto, poco dopo i fatti – sferrare calci a un uomo a terra. Le calzature, sporche di sangue, sono state analizzate dalla polizia scientifica, che ha rilevato il Dna della vittima sui lacci.
IL PROCESSO
Il difensore, l’avvocato Giovanni Caliendo, ha già sollevato alcuni dubbi: nessun coccio di bottiglia è stato ritrovato sulla scena e i medici chiamati a deporre dopo l’imputato hanno affermato che, pur gravemente ferito, l’anziano non è mai stato in pericolo di vita e ha trascorso dieci giorni in ospedale per le cure. Inoltre, l’avvocato metterà sicuramente in evidenza l’assenza di un movente alternativo a quello riportato dal suo assistito: la vittima stessa ha confermato di non aver subito alcun furto. «E cosa volevano rubare a me, che prendo 500 euro di pensione?», ha detto infatti amaramente l’anziano. Il processo si avvia ora verso la conclusione: udienza già fissata a gennaio per la discussione finale.
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