ALCATRAZ
The Prodigy, un ritorno in grande stile

Possiede davvero caratteri prodigiosi, in tutti i sensi, l’evento musicale di punta delle prossime serate targate Alcatraz. Mercoledì 17 maggio alle 21 il locale milanese accoglie uno dei gruppi che ha segnato la storia dell’elettronica, intesa non solo a livello estetico, ma come esperienza da vivere a 360 gradi, al limite della fruizione multisensoriale o addirittura oltre. Dopo una lunga lontananza dall’Italia, The Prodigy vi tornano nuovamente. L’apparizione milanese è una vera e propria congiunzione irripetibile, prima data nella Penisola a cui seguirà l’indomani quella al Gran Teatro Geox di Padova.
LA FORMAZIONE
Già questo basterebbe a evidenziare l’unicità della situazione performativa, alla quale va però aggiunta un’ulteriore considerazione, di natura per così dire più umana. The Prodigy sono a oggi un duo formato dal mc, rapper e cantante Maxime Reality, detto amichevolmente Maxim, e da Liam Howlett, artefice delle ipnotiche strutture strumentali a base di sintetizzatori e sample. Ma fan e non fan ricorderanno che per lungo tempo il simbolo della band è stato il vocalist e ballerino Keith Flint, soprannominato Keef. Com’è noto, l’istrionico e luciferino frontman è tuttavia mancato quattro anni fa, portando con sé un enigma – suicidio o incidente – che forse resterà insoluto ancora per molto tempo. Il lutto ha di certo lasciato una traccia forte negli animi dei suoi compagni superstiti, i quali tuttavia hanno deciso di non interrompere un progetto nato agli albori di un decennio, gli anni Novanta, di cui ha rappresentato uno dei monumenti contro-culturali. Ecco, quindi, la seconda parte del miracolo.
LA BIG BEAT INGLESE
Un nuovo percorso intrapreso nel segno di un concetto tanto abusato quanto forse in questo caso adeguato: quello di resilienza. Insieme a Chemical Brothers, Fatboy Slim e The Crystal Method, The Prodigy sono stati coloro che hanno presentato al mondo la big beat inglese, con la sua mescolanza di bassi profondi e sprofondanti, campionature elettroniche e beat ripetitivi eppure affascinanti, su cui ballare ma anche sballarsi. È insomma un altro modo per definire i valori sonori e comunitari della scena rave, una sorta di liberatoria risposta al conservatorismo britannico del periodo Thatcher/Major. Luoghi abbandonati si trasformavano in discoteche clandestine che animavano con oscuri droni nottate se non giornate, in un clima fuori dalla linearità del tempo ma estremamente conviviale. The Prodigy hanno fatto proprio il mix espressivo ricercato dal raver, al contempo agente passivo e attivo, probabilmente come nessun altro. I loro dj set non erano solo costituiti da ridondanti ma attrattivi intrecci techno, ma anche da coreografie.
L’ARRIVO DEL SUCCESSO
Il completo successo commerciale arrivò nel 1997 come “The Fat of The Land”, in cui sono incluse le hit “Firestarter”, “Smack My Bitch Up” e “Breathe”. L’anniversario numero 25 dell’album, festeggiato lo scorso anno, ha previsto una speciale riedizione in vinile. Ultimissima release è un loro remix di “Rocket Fuel” dei Kasabian, una conferma dell’interesse della band nei confronti del rock vivo fin dal primo album della carriera, “Music for the Jilted Generation”.
© Riproduzione Riservata