BASKET
Tutto iniziò con i cestini per le pesche

Da esperimento con i cestini delle pesche per scacciare la noia degli inverni del New England a secondo sport più praticato e seguito al mondo dietro sua maestà il calcio. La pallacanestro ha festeggiato in salute il compleanno numero 130, celebrato anche da Google lo scorso 15 gennaio con un doodle ad hoc ricordando la baffuta ed occhialuta figura del suo inventore.
Lo sport dei giganti, che corrono su e giù per un campo lungo 28 metri e largo 15 per infilare in un canestro posto a 3 metri e 5 centimetri un pallone arancione, è stato creato da James Naismith, un professore di educazione fisica di origine canadese che lavorava per l’università di Springfield. Gli inverni del New England erano molto rigidi, ed il rettore gli chiese di ingegnarsi per creare un gioco da praticare al coperto che permettesse agli studenti di sfogare la loro esuberanza. Naismith ci lavorò per due settimane, e il basket vide la luce nella versione embrionale poi sviluppatasi nel corso degli anni: le regole base – si tira in un canestro, il custode della palestra provvide con due cestini per la raccolta delle pesche, e non si può camminare o correre con la palla, per muoversi bisogna farla rimbalzare a terra – sono valide ancora oggi.
Per la cronaca, la partita finì... 1-0: tanto entusiasmo e tanta grinta (le prime regole messe a punto furono quelle sui falli, per ridurre il contatto fisico) ma bisognava lavorare su tanti dettagli. Ad esempio il numero dei giocatori, passati progressivamente dai 9 della prima partita della storia ai 5 attuali; tagliato il fondo dei cestini per le pesche per velocizzare il gioco, si arrivò agli attuali canestri con retine aperte sul fondo. Il basket si diffuse rapidamente attraverso il circuito delle università americane e divenne molto popolare come alternativa al coperto (motivo per cui è sport molto amato dalle mamme italiane...) ad altre discipline fortemente “statunitensi” come baseball e football americano.
E la figura di James Naismith è diventata un’icona: il professore canadese inaugurò l’era olimpica dello sport che aveva inventato in occasione dei Giochi del 1936 a Berlino. E oggi a Springfield, la casa natale della pallacanestro, sorge un grande museo intitolato a suo nome: la Naismith Basketball Hall of Fame, inaugurato nel 1959, è meta di pellegrinaggio per tutti gli appassionati di basket del pianeta, e ogni anno aggiunge cinque figure che hanno fatto la storia del gioco nell’elenco dei grandissimi (ne fa parte anche Dino Meneghin, la stella della indimenticabile Ignis Varese).
Per la diffusione planetaria della pallacanestro sono stati fondamentali due fattori: il primo sono le Olimpiadi, storicamente terra di conquista per gli Stati Uniti dove il gioco è stato inventato. Il secondo è la NBA, la massima lega professionistica mondiale che proprio per partecipare ai Giochi aprì trenta anni fa agli stranieri (quest’anno sono 107 da 41 nazioni diverse), trasformando il suo seguito su base planetaria.
Solo tre volte in 18 edizioni gli USA non hanno vinto l’oro, ma a cambiare la storia fu la sconfitta nel 1988 a Seul: lo choc servì a superare la storica barriera tra il dilettantismo richiesto dalla carta olimpica e il professionismo delle superstar NBA. Nel 1992 a Barcellona per la prima volta la nazionale americana era composta dai migliori 12 giocatori del mondo anziché da una selezione di dilettanti delle università: il celeberrimo Dream Team con superstar amatissime come Michael Jordan, Larry Bird e Magic Johnson è una delle cinque squadre di tutti i tempi – ci sono anche i 18 giocatori della prima partita di 130 anni fa – inserite nella Hall of Fame di Springfield.
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