PREMIO SCERBANENCO
Un festival sul Noir

Il Noir in festival compie trent’anni e li festeggia in un’edizione in streaming dall’8 al 13 marzo, cuore di un viaggio che in qualche modo è iniziato a fine novembre con la sfida tra i cinque finalisti del premio letterario per il miglior romanzo noir dell’anno, intitolato a Giorgio Scerbanenco, e che quest’anno ha visto vincitore per la giuria letteraria Tullio Avoledo. Un riferimento, quello al grande maestro del noir italiano, che Oreste del Buono ha definito «narratore, autentico e instancabile, della razza di un Georges Simenon», che quest’anno assume un significato ancora più forte: nato nel 1911, di Scerbanenco ricorrono i centodieci anni dalla nascita. E da qualche anno, grazie a un progetto curato dalla figlia Cecilia per La Nave di Teseo, il suo insegnamento ha ampliato i confini di quanto già ci ha detto e continua a dirci, con la pubblicazione anche di suoi inediti o di romanzi di cui si erano quasi perse le tracce. E non solo.
«Nel curare la pubblicazione dei testi del proprio padre si prova sempre un certo imbarazzo – racconta Cecilia Scerbanenco, autrice tra l’altro della biografia dal titolo “Il fabbricante di storie”, dove ricostruisce la vita dell’immenso scrittore attingendo a documenti dell’archivio di famiglia -. Mi ha fatto molto piacere però il coraggio di Elisabetta Sgarbi nell’aver accettato questo progetto che porta anche a pubblicare cose diverse dallo Scerbanenco noir di Duca Lamberti». Che sono tante, diverse nel genere, ma sempre narrate con la capacità di scandagliare l’animo umano. Cecilia Scerbanenco, oltre che traduttrice, ha una fortissima competenza in ambito storico/archivistico e questo suo lavoro l’ha portata anche a riscoprire trent’anni di attività giornalistica di suo padre, «anni – sottolinea – che ritengo fondanti per uno scrittore. Dello Scerbanenco giornalista ci sono inchieste, lettere con anche tematiche presentate da lettrici dalle quali credo abbia preso molto per i suoi romanzi». Romanzi che, seppur scritti, come è emerso da lavori anche rimasti inediti fino a tre anni fa e ritrovati proprio negli archivi di famiglia, fin dagli Anni Quaranta e poi via via sino ad arrivare a Duca Lamberti, si dimostrano ancora di una grandissima attualità e presi a esempio anche da tanta giallistica italiana contemporanea.
«Ci sono moltissimi suoi romanzi degli Anni Quaranta e Cinquanta, ora visti come storici, che sono tornati di attualità – conferma Cecilia Scerbanenco – in cui dimostra sempre una grande accuratezza nel descrivere personaggi. Credo che ancora oggi Giorgio Scerbanenco ci dica qualcosa, che i migliori scrittori di gialli hanno colto, in un noir italiano senza gli schemi classici del giallo, o forse anche senza uno schema del tutto: si tratta dell’uso del noir per raccontare la realtà, un aspetto al quale mio padre ha dato forza, forse per questo riesce a passare con facilità da temi che possono spaziare dal rosa al noir, perché racconta la realtà negli aspetti più profondi e controversi, e racconta una realtà profondamente italiana, con aspetti che possono succedere e succedono, di una malavita che è di fianco a noi». Un aspetto che molti scrittori di noir oggi hanno colto. «Mio padre – prosegue Cecilia Scerbanenco – racconta la zona d’ombra, la zona grigia, quotidiana della criminalità».
E lo raccontava oltre sessant’anni fa, con una scrittura che a tratti ricordava il cinema, in una struttura apparentemente semplice e forse per questo ancora più pregnante, forte. Capace di vivere in molteplici scritture, dal rosa al giallo, dalla radio al cinema ai giornali, con le cui redazione collaborava dagli Anni Trenta segnalato da Cesare Zavattini che ne aveva intuito immediatamente il talento.
Oggi ci lascia anche questo insegnamento. Assieme a un altro, che è riassunto dalla figlia in quella che è anche la sua convinzione: se si vuole scrivere è importante essere sicuri di quello che si vuole fare e «non incaponirsi su un genere, ma seguire la propria anima e il proprio cuore. E leggere e studiare moltissimo, continuare a farlo. Leggere e conoscere mondi. Mio padre studiava, raccoglieva articoli, si confrontava con gli amici che aveva in questura. Leggere i contemporanei per studiare lo stile di oggi, italiani e, se possibile, stranieri in lingua originale. Perché un’altra cosa importante, per Scerbanenco così come oggi, è l’attenzione alla parola, che è lo strumento dello scrittore così come la tavolozza è quello del pittore. Senza dimenticare la necessità di studiare la grammatica».
E dunque oggi la possibilità di conoscere altri suoi scritti è un cosa che, secondo la figlia, lo renderebbe «molto contento, come ne sono contenta io, perché molti hanno colto e stanno cogliendo le sue cose più personali e profonde».
© Riproduzione Riservata