VINILI ALLA RISCOSSA
A volte ritornano. E si mettono a girare

Il 2020 l’ha sancito: per la prima volta in trent’anni il vinile ha superato il cd nelle classifiche di vendita. Non solo in termini di fatturato, ma soprattutto di copie fisiche. Un traguardo raggiunto poco alla volta, da quando nel 2012 il vinile ha iniziato un’inesorabile risalita fino a insidiare il formato che negli anni Novanta gli aveva usurpato il trono. Fatta salva l’imperante diffusione dello streaming, il LP è il baluardo del mercato musicale anti-liquido. E così non stupisce che negli Usa il 33 giri di III, l’ultimo album solista di Paul McCartney, abbia venduto nella sola settimana prenatalizia 32mila copie.
La ripresa del vinile è forse specchio di quella tendenza alla nostalgia tipica della società contemporanea, ma resta in parte incomprensibile. In teoria, il cd offre maggiori vantaggi sia dal punto di vista economico (è meno costoso) sia da quello della maneggevolezza (è tascabile). Eppure il fenomeno è così vasto che non lo si può ridurre a una sorta di feticismo vintage. Anzi, le ragioni degli appassionati parlano di un suono più avvolgente, fedele allo spirito di certi periodi storici, e di un prodotto artistico che va oltre la musica e crea ritualità.
Per Edoardo, per esempio, l’ascolto del vinile «Non è soltanto una fruizione sonora diversa dal punto di vista qualitativo: registrazioni più “calde”, vive e fedeli allo spirito dei tempi in cui furono composte, in particolare nei dischi degli anni Sessanta e Settanta. Il vinile è un’esperienza. A mio parere più complessa ed entusiasmante. Bisogna concedersi più tempo e attenzione. Con il vinile si rallenta, quei giri ti portano a consumare un rituale, sei aperto a vivere e assorbire opere cristallizzate in un “luogo” sacro. Un ponte tra l’ascolto privato e lo tsunami di un concerto, altra esperienza differente ed eccitante. E poi ci sono le copertine, quelle confezioni meravigliose. Mi piace toccare e sentire quel prodotto. La musica esiste, ha una sua fisicità, ha uno scrigno pregiato tutto per sé».
Considerazioni simili sono quelle di Massimiliano, musicista e appassionato, che tuttavia precisa: «Il formato cd e il formato vinile sono due esperienze di ascolto differenti che mi soddisfano pienamente, a patto che i due formati siano entrambi di ottima qualità così come i sistemi di riproduzione. Il vinile lo preferisco per le opere incise prima dell’avvento del cd perché mi restituisce il clima di ascolto dell’epoca in cui quella musica è stata creata, incisa, ascoltata per la prima volta e diffusa poi dalle radio. Inoltre il vinile lo trovo più appassionante dal punto di vista fisico, dell’oggetto in sé; mi fa sentire di aver tra le mani un’opera d’arte, maggiormente rispetto al cd».
Infine, anche per Alessandro, che pure non si reputa un fan del LP, «il ritorno al vinile è sicuramente una cosa positiva. La proposta prettamente digitale degli ultimi vent’anni ha reso la musica qualcosa di sempre più intangibile, dal consumo oserei dire bulimico. Ma quando si sceglie di prendere un disco su vinile lo si fa scientemente e con il fine di valorizzarlo. Se di un album prendo il vinile, è perché “si merita” di essere preso su vinile. Quando si mette su un vinile, anche solo come gestualità, quel momento ha di per sé un aspetto rituale. Il rito è il momento dedicato a. Decisamente più con il vinile che con altri supporti, mandare in play significa prendersi il tempo “perché voglio ascoltarlo questo disco”; e lo voglio ascoltare tramite il supporto più valorizzante che c’è».
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