L’INTERVISTA
Varese, le confessioni di Rocco
Siffredi domenica 2 marzo a teatro. «Schicchi? La Ferrari del porno italiano Anni ‘80. Lilli Carati sui set sbagliati proprio come Moana»

«Nel mio spettacolo non c’è una sola parolaccia. E dura novanta minuti».
A Rocco Siffredi, di scena domani, domenica 2 marzo, alle 17, al Teatro di Varese, posti disponibili, piace la chiarezza.
È un invito a portare anche i bambini?
«No, però davvero uso un linguaggio pulito. Lo faccio per correttezza e anche opportunità. L’ho capito sin dalle prove al Caffè Teatro di Samarate, se un cabarettista nomina, cosa che capita spesso, l’organo sessuale maschile, la gente si limita a ridere, se lo faccio io, pensano ad altro, si distraggono».
Il suo però, sin dal titolo, Rocco, è uno spettacolo autobiografico. La vita di un pornoattorenon porta inevitabilmente ad avere un pensiero fisso?
«Parlo di me e quindi anche della pornografia ma quando racconto l’hard lo faccio in modo soft. E accanto al diario personale, guardo una realtà che ha segnato la storia e il costume con una professionalità che internet e OnlyFans hanno azzerato».
Stessa tesi sostenuta da Giulia Steigerwalt in Diva Futura. Buon film, l’ha visto?
«Ancora no ma ci tengo a recuperarlo. Non appena è apparso il trailer, ho telefonato a Pietro Castellitto, complimentandomi per la sua straordinaria somiglianza con Riccardo Schicchi. Mi ha ringraziato dicendo che tiene molto al mio parere: ne sono lusingato».
Lo è anche di ciò che scrive di lei e, per dirla con Elio e le Storie Tese, della sua dimensione artistica, Debora Attanasio nel libro edito da Sonzognoche ha ispirato il film?
«È sempre stata molto gentile, sono contento che le sue doti di scrittrice siano state riconosciute, che da un libro sia tratto un film in concorso a Venezia non è cosa da tutti. Comunque era bravissima anche da segretaria dell’agenzia Diva Futura».
Chi ha diviso il set con lei, dice che sin da ragazzino era un igienista maniacale.
«Non per vezzo o ossessione: è una misura preventiva indispensabile per un mestiere come il mio e, in assoluto, per la salute».
Lei ha lavorato anche con la varesina Lilli Carati. Che ricordo ne ha?
«Una bella persona, nello spettacolo la cito. All’hard non arrivò per scelta, era adatta per il cinema che aveva interpretato prima. Mi colpì la dignità con cui affrontava quei set che, come Moana, non amava per niente».
A Moana non piaceva l’hard?
«Lo faceva e con professionalità ma si sfogava con me dicendo Qui sono tutti matti, come si può resistere? Per lei era un lavoro ma non era nata per quello. Al contrario di Ilona Staller, che c’era portata».
E Schicchi?
«La Ferrari del porno italiano degli Anni Ottanta. Cicciolina e Moana erano fuoriclasse. Lui ha avuto il merito d’intuirlo e lanciarle ma la cosa che gli riusciva meglio era presentare la bigiotteria come fosse una cascata di diamanti».
Dicono che mentre girava non ha mai avuto bisogno di aiutini: chiedeva due minuti di concentrazione e vai col ciak. Fake?
«Sì, però nel senso che non ho mai chiesto tempo, sempre stato pronto sin dalla sera prima: sufficiente un’occhiata al copione. E di film ne ho girati duemila, poi moltiplicati dai produttori».
Il suo autosdognamento è passato anche dagli spot. Quel cane della compagnia sbagliata non meriterebbe un David a forma di osso?
«Come minimo. Nel campo della comunicazione è avantissimo. A parte me idraulico, pensate a quella coppia di anziani che si presenta con pasticcini e spumante non sapendo che il festino è a luci rosse e, per uscire dall’imbarazzo, Segugio chiede alla padrona di casa se deve mettere il collare. Fantastico».
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